la Stampa – Domenica 3 luglio 2005, pag. 29 sezione nazionale, “Agricoltura”, rubrica DE GUSTIBUS DISPUTANDUM EST Con tutte le difficoltà che assediano le valli alpine, quello di accendere la luce sulle cime è davvero l’ultimo dei problemi
Stupisce che la proposta sia stata fatta dalla Comunità Montana
Immaginate il Monviso, gigante di roccia e di ghiaccio, illuminato a giorno, ogni notte, per tutta la durata delle olimpiadi invernali. Nebbia e condizioni atmosferiche avverse permettendo, ad ogni calar del sole, la montagna si mostrerebbe in tutto il suo splendore a una Torino gremita di turisti giunti da ogni parte del mondo per assistere ai giochi olimpici del 2006.
L’iniziativa è stata avanzata dalla Comunità Montana Valli Po, Bronda e Infernotto, ma fortunatamente pare non aver trovato troppi sostenitori. E ci credo: non si tiene conto del fatto che la montagna non è solo roccia e ghiaccio. È viva ed è abitata da uomini, animali e piante. Immaginate camosci e marmotte che non sanno più quando andare a dormire; gufi, pipistrelli e altri abitanti della notte svegliarsi confusi verso sera per scoprire, accecati da una luce abbagliante, che forse si sono sbagliati e non è l’ora di andare in cerca di cibo. Se poi riuscite anche ad immaginare quanto possa costare illuminare una montagna intera per svariate notti di seguito, con quello che durano le notti in inverno, l’idea del Monviso bianco di luce inizierà a sembrarvi sempre meno divertente. Non è un caso che la proposta di “accendere” la montagna abbia messo d’accordo tutte le associazioni schierate a difesa dell’ambiente, e non solo loro, che hanno espresso la loro manifesta contrarietà a
un’idea assolutamente inutile e, per certi versi, dannosa. Basti pensare allo spreco di energia o all’inquinamento luminoso che già oggi ci impedisce di alzare gli occhi e guardare alle stelle con ammirazione. Non posso che associare, a tutte le voci che si stanno levando contro, anche la mia.
Con tutte le difficoltà che assediano le valli alpine quello di illuminare le cime è davvero l’ultimo dei problemi. Che la proposta possa venire da una Comunità Montana non fa affatto ben sperare sul futuro dei nostri monti: ma che idea è mai questa? Non sarebbe meglio cercare di fare un po’ di luce sul futuro delle nostre montagne anziché perdersi in costose fantasie? Forse l’unico merito della proposta è quello di aver offerto l’occasione di parlare delle questioni vere che riguardano i monti che ci circondano. Tra tutte, ce n’è una più grave delle altre: lo spopolamento. Il progressivo abbandono delle terre alte è alla base di tutti i mali che affliggono l’arco alpino. Di fronte alla drammaticità del fenomeno bisognerebbe impiegare delle risorse che, anziché privilegiare il lato estetico di chi guarda dalla lontana città, andrebbero investite in modo da rendere il territorio godibile e socialmente vivo per chi lo popola.
Ora nelle nostre valli resistono solo gli anziani e al crescere dell’altitudine cresce l’età media dei (pochi) abitanti. Questo ad esempio significa che non c’è più nessuno che si prende cura dei pascoli alpini o dell’apicoltura in quota. Il bosco e il sottobosco sono lasciati al loro destino e i prati all’incuria. Così accade che, non appena piove sulle pendici dei monti semi-abbandonati, a valle arrivano le alluvioni. Tra l’altro, i saperi tradizionali legati al lavoro agricolo montano stanno svanendo e sarà difficile riappropriarsene una volta che anche l’ultimo contadino si sarà ritirato. Si perde, inoltre, una grossa opportunità di valorizzare un patrimonio che, anche da un punto di vista economico, potrebbe essere foriero di soddisfazioni.
La grande sfida allora è quella di rendere pienamente remunerativa l’agricoltura in montagna. Solo così si potrà fermare l’esodo. Una volta anche dalle colline di Langa si scappava lontano in cerca di fortuna. Quando invece la coltura della vite ha iniziato a essere redditizia i giovani hanno deciso che valeva la pena di continuare le attività dei padri. Ci vuole un aiuto che oggi manca. L’Unione europea, per esempio, distribuisce grandi risorse all’agricoltura ma lo fa ancora troppo su basi quantitative legate alla produzione. Con questi criteri nessun incentivo arriverà mai nelle valli e non è giusto, anche perché la vita in montagna comporta fatica e impegno.
Non di idee illuminanti ha bisogno la montagna, ma di un’economia agricola sana e florida, capace di gratificare nella giusta misura chi è disposto a convivere con le difficoltà dell’altitudine e a presidiare il territorio con ampi benefici per tutti.
Carlo Petrini