Addio stelle, tra 20 anni il cielo sarà tutto nero

Il Messaggero – Martedì 7 Ottobre 2003
TRA le tante forme di inquinamento che degradano la qualità del quotidiano di molti e minano il futuro dell’intera specie umana, quello luminoso è di gran lunga il meno reputato e sicuramente, ma a torto, quello meno temuto dalla gente. In sé il fenomeno è semplice: la luce emessa dalla miriade di lampadine e lampioni che ci circondano e che contribuiscono a rendere la nostra vita notturna più piacevole e sicura, viene diffusa dalle minuscole particelle di polvere che galleggiano negli strati bassi dell’atmosfera terrestre e va ad aumentare a dismisura la naturale luminosità del fondo-cielo. Man mano che cresce, a causa del proliferare incontrollato di inadeguate sorgenti artificiali di luce, questa luminosità diffusa inghiotte via via gli astri meno brillanti, al punto che oggi nei grandi centri urbani le stelle visibili ad occhio nudo sono soltanto poche centinaia, contro le circa tremila percettibili in un cielo buio e senza luna.
Addio “vaghe stelle dell’Orsa”! é come se un crescente e diffuso brusio invadesse una sala da concerto. Cominceremmo col non sentire più i flebili flauti di Pan; poi anche il pianto dei violini affogherebbe nel rumore di fondo, con conseguente grave mutilazione della musica; e infine, se il brusio dovesse diventare rombo, si perderebbe finanche il tuono dei timpani. In modo analogo il sublime spettacolo della volta celeste decorata di stelle si va degradando soprattutto là dove pretendiamo che più alti siano i segni della civiltà, nelle città e negli insediamenti industriali in conseguenza dell’inquinamento prodotto da luci artificiali progettate non solamente nel più totale disprezzo del cielo ma anche di un oculato contenimento dei consumi energetici, a loro volta generatori di altre forme di inquinamento.
Addirittura, in una recente nota d’agenzia si legge che, senza un freno al dilagare dell’illuminazione notturna, a partire dal 2020 il cielo stellato potrebbe scomparire del tutto alla vista degli italiani: una vera calamità prodotta da un fenomeno reversibile (l’inquinamento cessa se si spengono le luci) e tuttavia carica di conseguenze irreversibili sui bioritmi delle più diverse forme di vita e della nostra specie in particolare.
Si potrebbe obbiettare che i problemi derivanti dall’inquinamento luminoso siano ben poca cosa rispetto a quelli posti dal degrado ambientale, dal dissesto idrogeologico, dalla deforestazione, e da altri mostri del XXI secolo che rischiano di affamare e assetare un pianeta sempre più caldo e arido e di rendere sempre più imprevedibile l’atmosfera che lo protegge. Ma, a ben pensarci, ci si accorge che una tale affermazione nasce dall’imperante vezzo moderno di privilegiare l’immediato ed il pratico rispetto a ciò che invece ci appare lontano nel futuro o sembra non avere alcun impatto immediato sulla quotidianità. La perdita del cielo notturno ci rende tutti più poveri.
Le stelle sono una presenza costante, rassicurante, enigmatica, a volte addirittura inquietante, nella nostra vita, nella nostra memoria e nella nostra cultura. Esse sono state l’interfaccia dell’uomo col soprannaturale, fonte di ispirazione per poeti ed artisti, punti di riferimento per i naviganti, compagne dei momenti di riflessione e compiacenti spettatrici degli slanci d’amore. Per lungo tempo, dall’accurata misurazione del moto di quelle fisse e dell’altre mobili, i pianeti, è dipesa la nostra capacità di misurare e ordinare il tempo.
Dalla lenta comprensione della loro natura di oggetti fisici, in tutto e per tutto partecipi di quelle stesse leggi che governano i fenomeni terrestri, ma soprattutto dalla sofferta accettazione di una cosmologia non antropocentrica, è scaturita una delle più feconde rivoluzioni del pensiero umano: una rivoluzione che, oltre a cambiare radicalmente la rappresentazione del cosmo, ha avuto un profondo impatto sulla nostra vita, portando all’abbandono di superstizioni millenarie e ponendo le basi culturali dell’Età Moderna.
Si potrebbe ribattere che questa è ormai solo storia, mentre il presente è della tecnologia, e che, se per recuperare all’uomo la notte occorre spegnere le stelle, allora ben venga l’inquinamento luminoso.
Ma il cielo non è affatto una vittima necessaria al progresso della civiltà. Nessuno, infatti, propone di spegnere i lampioni nelle strade o di oscurare le case come in tempo di guerra. Per ridurre la luminosità del cielo notturno senza peraltro pregiudicare in alcun modo la vivibilità dei centri urbani o l’efficienza degli insediamenti industriali, basterebbe adottare pochi, semplici accorgimenti, come ad esempio schermare verso l’alto le luci stradali o le illuminazioni esterne dalle case. Non a caso, leggi simili sono già state adottate con successo da molte regioni italiane, prime tra tutte la Val D’Aosta, il Veneto e più recentemente la Campania.
Si può solo sperare, quindi, che il buon senso dei governanti, stimolato da una presa di coscienza dei cittadini, riesca ad impedire che anche in Italia si verifichi ciò che accadde nel 1994 in California quando, dopo la violenta scossa di terremoto che colpì San Francisco causando un lungo periodo di black-out, il centralino dell’Osservatorio di Monte Wilson fu tempestato dalle telefonate di migliaia di cittadini che volevano sapere cosa fossero quegli strani punti luminosi che erano improvvisamente apparsi sulla volta celeste: viene da domandarsi a che cosa questi diseredati abbiano potuto confidare le loro pene d’amore.

Massimo Capaccioli
Direttore dell’Osservatorio
Astronomico
di Capodimonte

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