Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo.
I CIELI BUI DELLA VALLE GRANA ALL’ATTENZIONE DELL’UNESCO
A. Cora(1)(2), B. Barberis(3), F. Pellegrino(3)(4)
(1) INAF-OATo, (2)Società Astronomica Italiana, (3) EcoMuseo “Terra del Castelmagno” (4)Associazione Astrofili della Bisalta
l’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, anche noto come UNESCO, non necessita di presentazione, oltre diffondere la cultura della pace della democrazia e dell’eguaglianza degli uomini opera anche per valorizzazione e salvaguardia del patrimonio nell’ottica di favorire lo sviluppo culturale e scientifico a livello mondiale.
L’agenzia della Nazioni Unite, da sempre attenta anche all’ambiente, ha riconosciuto nel 2007 il cielo notturno come patrimonio inalienabile per l’umanità:
“Un cielo notturno incontaminato che consente il godimento e la contemplazione del firmamento dovrebbe essere considerato un diritto inalienabile dell’umanità equivalente a tutti gli altri diritti ambientali, sociali e culturali, a causa del suo impatto sullo sviluppo di tutti i popoli e sulla conservazione della biodiversità” (La Palma Declaration – 2007)
Non solo esalta il valore educativo del cielo buio, ma invita le nazioni alla riduzione dell’inquinamento luminoso e ad un uso intelligente della luce e dell’energia anche per contrastare i cambiamenti climatici, e viene riconosciuto al turismo un ruolo strategico per la difesa del panorama notturno.
Anche vista l’importanza del ruolo strategico del turismo nel 2009 nasce la Starlight Foundation l’organizzazione no-profit di diritto Spagnolo e promossa dall’Instituto de Astrofísica de Canarias (IAC) che rilascia certificazioni sulla qualità del cielo notturno; che sotto certi aspetti fa concorrenza alla più vecchia International Dark-Sky Association (IDA) nata nel 1988 sul continente americano.
In realtà parlare di concorrenza tra organizzazioni no-profit è un abuso.
Anche l’IDA è senza scopo di lucro e desidera preservare e ripristinare i cieli scuri incontaminati, massimizzando allo stesso tempo la qualità e l’efficienza dell’illuminazione notturna e al pari della Starlight Foundation rilascia certificati per stimolare un turismo responsabile.
Nessuna località italiana è nell’elenco dei siti IDA, la più prossima è d’oltralpe e si tratta del parco naturale Alpes Azur Mercantour in Francia, a contatto con la Valle Grana.
L’unica località Italiana che può invece vantare una certificazione Starlight Stellar Park rilasciata alla sorella europea Fundación, è Saint-Barthélemy in località Lignan nel comune di Nus in valle d’Aosta, a tutti gli effetti è l’unico parco stellare italiano.
Ma vi è una terza via, che sebbene non certifica, può essere percorsa per riconoscere il cielo notturno incontaminato, forse è più ambiziosa visto che potrebbe proporre il riconoscimento come World Heritage dell’UNESCO.
Infatti, successivamente alla “Dichiarazione di La Palma”, il 30 Ottobre 2008 a Parigi, l’agenzia delle nazioni unite ha firmato un accordo con l’International Astronomical Union (IAU), l’associazione che raccoglie tutti gli astronomi, e l’International Council of Monuments and Sites (ICOMOS) organo consultivo per la nomina “world heritage” incaricandoli dello sviluppo di un possibile percorso che porti al riconoscimento di siti UNESCO dall’elevato valore Astronomico e Archeoastronomico.
Nel 2010 l’ICOMOS e l’IAU dopo anni di discussione, proposero oltre 40 case-study di cosidetti “astronomical heritage“, tra i quali spiccavano storici osservatori astronomici come quello del Pic du Midi, siti archeoastronomici come StoneHenge, ma anche luoghi che legavano ambiente e l’osservazione del cielo notturno.
Nella pubblicazione sono casi di studio località come “Eastern Alpine Starlight Reserve and Großmugl Starlight Oasis” in Austria e la riserva IDA: Lake Tekapo – Aoraki – Mount Cook Starlight Reserve in Nuova Zelanda, posti caratterizzati, oltre da una natura incontaminata, dall’essere privi di inquinamento luminoso.
Le località oggetto di studio devono essere caratterizzate da “tangibilità” per la presenza di monumenti/siti archeoastronomici o dal ritrovamento di oggetti (tangibili) con alto contenuto culturale/astronomico oppure dalla “non tangibilità” quando sono luoghi carichi di storia dell’astronomia (come alcuni storici osservatori) o caratterizzati da paesaggi incontaminati di cieli stellati, quest’ultimi nella categoria Dark Sky.
Nel 2012 lo IAU, dava l’annuncio che era on line l’UNESCO-IAU Astronomical Heritage Web Portal. Un database pubblico, forum di discussione e archivio di documenti sui siti del patrimonio astronomico in tutto il mondo, anche se non sono nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Nel 2017 con il documento “Heritage Sites of Astronomy and Archaeoastronomy in the context of the UNESCO World Heritage Convention: Thematic Study no.2”, si prende coscienza della la complessità e difficoltà di definire una specifica categoria di beni del Patrimonio Mondiale semplicemente per motivi di cielo buio.
Tra i casi studiati il documento riportava ancora il sito austriaco e quello neozelandese e aggiungeva vari osservatori astronomici con espliciti collegamenti al cielo buio e la suggestiva denominazione: finestre sull’universo.
Perché dare importanza ad una località semplicemente caratterizzata dall’essere priva di illuminazione pubblica?
Semplicemente perché il fenomeno dell’inquinamento luminoso è la forma più pervasiva di inquinamento a cui siamo soggetti. Oltre il 60% della popolazione mondiale ne soffre e quasi la totalità della popolazione urbanizzata ormai non riesce più ad osservare la Via Lattea.
E’ possibile, grazie al sito lightpollutionmap stimare la luminosità del fondo cielo di cui gode il parco francese (21,70 mag/arcosec2) . La stessa assenza di inquinamento luminoso vanta l’alta valle Grana nella provincia di Cuneo, uno degli ultimi posti in Piemonte da cui si può godere lo spettacolo di un cielo notturno incontaminato.
La situazione italiana dell’inquinamento luminoso è impietosa. Come mostra “The new world atlas of artificial night sky brightness”, la nostra penisola è tra le nazioni più compromesse da questo tipo di contaminazione.
Proprio nell’ottica di preservare questi luoghi e con lo scopo di rendere noto la qualità di questi cieli ai cittadini della Valle e anche a tutti gli altri, si è costituito nel 2020 un gruppo di lavoro sotto la guida dell’Ecomuseo “Terra del Castelmagno”.
L’EcoMuseo è gestito dall’Associazione Culturale La Cevitou che in occitano è il nome della “Civetta” simbolo di Cultura in tempi remoti, che sta anche a sottolineare l’operosità notturna, ovvero, l’idea di non lavorare esclusivamente a grandi eventi, ma soprattutto ad un processo mentale nuovo che necessita di tempo e costanza.
E, aggiungiamo noi: “La Cevitou” è pure simbolo della “Notte” nella “Valle”, che la storia ha voluto quasi del tutto estranea all’inquinamento luminoso della pianura.
Nel gruppo di studio, oltre a storici (Arduino Rosso) , botanici (Stefano Macchetta), geologi (Stefano Melchio), antropologi (Gabriele Orlandi) e astronomi (Richard Laurence Smart) si sono uniti realtà locali come Associazione Astrofili della Bisalta e realtà nazionali come la Società Astronomica Italiana che hanno patrocinato.
Altri enti che hanno sostenuto lo studio sono il Comune di Castelmagno (che costituisce la Core Zone) e l’Unione Montana della Valle Grana.
“Western Alpine and Grana Valley Sky Sanctuary” è un caso di studio, che vuole porre all’attenzione dell’UNESCO le particolarità di questa terra, che sebbene posta solo a un centinaio di chilometri da una grande metropoli come Torino mantiene un cielo buio e quasi incontaminato.
La conformazione della Valle, corta e ripida, consente di poter contemplare il firmamento come se fossimo nelle regioni remote e prive d’inquinamento luminoso del pianeta. Dal Rifugio Fauniera, al culmine vallivo a quota 2300 metri, ma ancora raggiungibile dalle auto su strada asfaltata, si giunge a 6,7 magnitudini ad occhio nudo, e quindi si possono osservare oltre 5000 stelle sulla volta celeste.
Da ricordare che non vi è solo l’iniziativa l’ICOMOS-IAU che può promuovere le zone dal cielo incontaminato.
L’UNESCO, appare alla persona estranea all’organizzazione, come una pletora di commissioni e comitati; e potrebbe dare l’idea di un atteggiamento confusionario oltre ad uno spreco di risorse. In realtà ad ad ogni comitato o commissione corrisponde un problema a cui si sta cercando soluzione. Per cui la presenza di molte commissioni significa semplicemente molti problemi.
Mentre l’iniziativa IAU-ICOMOS si occupa di trovare processi per il riconoscimento di patrimonio mondiale dalle caratteristiche culturali astronomiche, il Committee on the Peaceful Uses of Outer Space (COPUOS) affronta frontalmente il problema dell’inquinamento luminoso preoccupandosi di raccomandare interventi alle nazioni.
Nel novembre 2020 si è tenuto un workshop on-line con più di 970 partecipanti.
La relazione finale del workshop rappresenta l’analisi più aggiornata e autorevole dell’impatto sull’astronomia da interferenza legata a Artificial Light at Night (ALAN), la luce artificiale di notte.
E sebbene consideri non realistico ristabilire un cielo notturno incontaminato entro i confini di una città moderna, al fine di assicurare alla cittadinanza la possibilità di godere della visione del cielo stellato, consiglia ai governi locali di stabilire un numero adeguato di “oasi del cielo oscuro”, proteggendole dall’eccessivo inquinamento luminoso.
Per tale ragione raccomanda la certificazione StarLight Foundation o IDA e, probabilmente, questa sarà la prossima mossa a tutela della Valle.
Per ora accontentiamoci… la Valle Grana è all’attenzione dell’UNESCO.
Lo studio è visibile sul sito dell’Astronomical Heritage Web Portal.