Luci e antichi palazzi Via del Campo

La Stampa – 26/11/2003

Alla bellezza originaria, una nuova illuminazione cambia volto a un quartiere diventato celebre attraverso un disco GENOVA IL merito è anche di Fabrizio De Andrè. Lo ammettono anche i sussiegosi vertici della soprintendenza ai Beni Culturali della Liguria: il restyling e la nuova illuminazione del complesso monumentale di via, piazza e vico Del Campo si deve anche ai versi del cantautore scomparso qualche anno fa: nella sua adolescenza, De Andrè trovava tra i vicoli degradati e le patetiche «lucciole» i brividi della «débauche» di Beaudelaire e di Verlaine. Solare e sorridente, di certo lontano dai brividi del «fronte del porto», il ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, ha inaugurato ieri la prima parte del complesso lavoro svolto da privati e soprattutto ha «acceso» la nuova illuminazione, messa a punto dalla società «Enel Sole» che ha già realizzato a Genova, nel 2001, il medesimo sistema nella storica via San Lorenzo attorno alla cattedrale omonima che risale al XII secolo. La zona di via del Campo è di grande importanza storica, artistica e architettonica nel contesto del centro storico genovese (dove abitano e lavorano oltre 35 mila persone). L’ha studiata a fondo in numerosi tomi ormai considerati fondamentali dagli specialisti di tutto il mondo, nel corso della sua lunga carriera universitaria, il professor Ennio Poleggi, che spiega: «Via del Campo è l’asse d’ingresso alla città da Ponente più importante nel corso dei secoli. Si apre con Porta dei Vacca (dalla famiglia Vacherio che vi possedeva molte case: un suo componente, sobillato da agenti sabaudi, nel XVII secolo tentò una congiura, ma venne scoperto e giustiziato e sul luogo si erge ancora una «colonna infama») e prosegue sino alla cosiddetta strada “tangenziale” della Maddalena verso San Siro che fu la prima cattedrale, prima di San Lorenzo». Via del Campo è legata ai fasti della Genova, già opulenta, del Basso Medioevo: si struttura dalla metà del XIV secolo e tocca il suo apice di prestigio nel corso del XV secolo. Non va dimenticato – aggiunge Poleggi – che Porta dei Vacca (che ne è l’ingresso) si apre di fronte all’Arsenale (la Darsena: altra parola araba che vuol dire stabilimento, luogo di lavoro) e all’imbocco del porto di Ponente, sotto la Lanterna. Era una zona che oggi diremmo «mista»: accanto a palazzi importanti, sede del patriziato, c’erano botteghe artigiane – conciatori, pellai, tessitori – e molti fondachi di commercianti al minuto e anche di piccoli grossisti. Non fu mai oggetto di «speculazioni» stravolgenti, perchè i suoli furono per lungo tempo in mano alla chiesa di San Siro e alla Commenda (antico ospedale crociato, in via di restauro: vi vennero strozzati, in quei secoli bui, alcuni cardinali per impedirne la partecipazione a un Conclave). L’edificio restaurato più importante è il palazzo dei Fregoso, una famiglia che per circa 150 anni si contese il Dogato con i rivali Adorno. Il più celebre, Paolo Fregoso (o di Campofregoso), fu ammiraglio della cristianità, pirata, arcivescovo di Genova per 39 anni e tre volte doge. I Fregoso erano alleati dei Doria e protessero la famiglia di Cristoforo Colombo, il cui padre, Domenico, ebbe anche una piccola carica in premio della sua fedeltà. Ma c’è dell’altro: via del Campo – avverte Poleggi – era confinante con il piccolo ghetto ebraico (gli israeliti, sia pure poco numerosi, non furono mai perseguitati dalla tollerante Repubblica) e, dopo la ristrutturazione urbanistica della città effettuata dopo Andrea Doria nella seconda metà del Cinquecento, quando vennero eretti o ristrutturati i palazzi Cybo, Salvago, Campanella, oggi oggetto del restauro, fu la sede dei primi, importanti alberghi e delle locande più rinomate. Era la «città dell’accoglienza», soprattutto nel XVIII secolo, quando era cominciato il cosiddetto Grand Tour alla scoperta dell’Italia: Genova era una tappa obbligatoria. Vi passò anche un adirato Montesquieu che scrisse un epigramma feroce contro la bellezza della città e la grettezza (avarizia) dei suoi abitanti, che comincia appunto: «Adieu, Genes detestable/Triste sejour de Plutus…». Per fortuna, quasi 300 anni dopo, in piena decadenza immobiliare della vecchia strada, un pizzico di amabile malinconia ce l’ha messa Fabrizio De Andrè: e così è diventata un «topos» che tutta l’Italia conosce.

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