La Stampa – 22/11/2003
Lettere al Giornale Vorrei rispondere alle opinioni del comitato per la sicurezza del quartiere Cogne in merito all’efficacia di «illuminazione più intensa per dare sicurezza»: avendo letto un po’ di articoli in materia direi che non esistano prove conclusive sulla validità della tesi, anzi sembrerebbe proprio che l’intensità dell’illuminazione pubblica non abbia alcun effetto su vandalismi e crimini. E in alcuni campus universitari californiani questi sono addirittura diminuiti riducendo numero e intensità dei punti luce.
La maggiore intensità di illuminazione esterna crea – se mal governata e solitamente lo è – abbagliamento o scarsa percezione visiva per l’alternanza di zone brillanti ad altre più scure. In queste condizioni è impossibile la tempestiva individuazione di un malintenzionato o di un pedone e si creano le condizioni per incidenti stradali. E se non ci sono le forze dell’ordine a pattugliare le strade i «cattivi» imparano presto che quand’anche siano resi più visibili dall’«illuminazione a giorno» potranno comunque agire indisturbati. Mi sembra pertanto che la luce possa agire solo come «rassicurazione psicologica» per i cittadini in assenza di reale prevenzione e che molto spesso gli eccessi di illuminazione pubblica creino più problemi di quanti ne risolvano, non fosse altro che per l’aumento delle tasse necessarie a coprirne i costi. Costi che sarebbero radicalmente abbattuti con l’adozione di lampade a basso consumo energetico, ottiche anti inquinamento luminoso, intensità al suolo uniformi, niente luce sulle facciate delle case o fari in faccia agli automobilisti e luminanze non superiori a 1 cd/m2: basterebbe quindi illuminare meglio, non di più. Ma a molti – produttori di energia, politici, artisti – fa comodo far circolare il luogo comune «più luce, più sicurezza».
Giancarlo Gotta
Alessandria