Il cielo notturno diventi Patrimonio dell’Umanità

Corriere della Sera – 16 Maggio 2002

Scienziati e astronomi di tutto il mondo lanciano un appello all’Unesco «Stop all’inquinamento luminoso, o nel 2025 non vedremo più le stelle»
MILANO – «Chiediamo all’Unesco e all’Onu di avviare il procedimento per dichiarare il cielo notturno patrimonio dell’Umanità». A sottoscrivere l’appello formalmente inviato all’Unesco sono numerosi osservatori astronomici nei cinque continenti, istituzioni come l’Unione Astronomica Internazionale, centri di ricerca e l’International Dark-Sky Association che riunisce le associazioni che combattono l’inquinamento luminoso nelle diverse nazioni. Proprio per iniziativa della Dark-Sky Association i protagonisti internazionali di questo mondo si erano riuniti nei giorni scorsi al Cnr di Venezia con l’aiuto dell’Unesco per discutere come arginare il problema che dilaga ormai anche in aree continentali che si ritenevano immuni. Ed ora hanno compiuto il grande passo mobilitandosi per far riconoscere un principio nuovo ma sacrosanto: anche il cielo della notte e la possibilità di vedere le stelle costituiscono un patrimonio naturale da difendere al pari di una città con le sue opere architettoniche.
L’Unesco, infatti, si muove su questo piano per numerosi patrimoni terrestri ed ora si chiede che alzi gli occhi al cielo allargando i confini dei suoi interventi. «Per evitare che, presto, anche questo bene svanisca nel nulla e sia distrutto per un cattivo uso e un’impropria diffusione dei sistemi di illuminazione che tra l’altro comportano anche uno spreco energetico» dice Pierantonio Cinzano, astronomo dell’Università di Padova e autore assieme a Fabio Falchi e Cristopher Eldivide del National Geophysical Center americano, del primo «Rapporto Istil» sulle condizioni del cielo realizzato con i rilevamenti dei satelliti dell’aviazione statunitense.
«Solo in Italia – precisa Cinzano – l’inquinamento luminoso cresce del 10 per cento l’anno. Ma anche nei Paesi non industrializzati il problema sta crescendo vistosamente e persino il Kenia lo manifesta».
L’idea del cielo notturno patrimonio dell’umanità era nata dieci anni fa durante un convegno dell’Unione astronomica internazionale e dell’Unesco. Nel 1999 a Vienna nella conferenza dell’Onu sull’uso pacifico dello spazio si raccomandava agli Stati di limitare l’inquinamento da fonti luminose. Ma tutto rimaneva una vaga prospettiva.
Ora i tempi sembrano invece maturi sia perché il problema è più serio sia perché la mobilitazione per raggiungere l’obiettivo è decisamente vasta. «Ciascuno di noi sarà intellettualmente più povero se l’accesso al cielo stellato non sarà possibile», ha scritto nella lettera di sostegno alla dichiarazione il professor Derek McNally dell’Osservatorio astronomico di Londra.
«La società astronomica americana incoraggia con forza l’Unesco a dichiarare il cielo notturno un patrimonio del Mondo. Il cielo è parte di tutte le nazioni ed è visibile a tutti gli uomini» si legge nel documento preparato dagli astronomi statunitensi. «Bisogna aiutare l’Unesco a varare l’importante provvedimento» dice il professor Malcom Smith, direttore del Cerro Tololo Interamerican Observatory in Cile. «E sarà un passo cruciale» aggiunge Joseph Hron, astronomo dell’università di Vienna. L’elenco dei sostenitori della dichiarazione sarebbe lungo da citare.
Pierre Laserre, direttore dell’Ufficio scientifico dell’Unesco a Venezia, ritiene che per arrivare ad un risultato bisognerà aggiornare i meccanismi in base ai quali, su indicazione dei singoli Stati, oggi si procede alla designazione dei World Heritages Sites.
«Il cielo notturno, come il fondale marino, sono invece beni sovrannazionali – precisa Laserre garantendo il suo aiuto – e quindi è necessario provvedere un nuovo percorso, del tutto specifico, come è accaduto ad esempio per l’Antartide».
L’appello all’Unesco, diretto anche ai governanti delle diverse nazioni, è nato nella capitale veneta che per prima in Italia ha varato una legge regionale sull’inquinamento luminoso. «In Europa i governi più sensibili sono quelli del Mediterraneo – conclude Cinzano – forse perché più degli altri hanno la possibilità di vedere il cielo. Ma ancora per poco. Se non interverrà il provvedimento dell’Unesco le previsioni ipotizzano già per il 2025 un mondo senza notte e senza stelle».

Giovanni Caprara

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