Anche gli osservatori astronomici professionali soffrono l’IL

Un nuovo studio condotto da Fabio Falchi. attuale presidente di CieloBuio, e collaboratori è stato recentemente pubblicato sulle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: ne riportiamo l’abstract.

Inquinamento luminoso da Mt. Graham, sede del Large Binocular Telescope, nel 2008. Foto: Marco Pedani

L’inquinamento luminoso negli osservatori astronomici è uno dei principali fattori da prendere in considerazione per preservare la loro produttività scientifica e la loro vita utile. Utilizzando il modello Garstang-Cinzano applicato ai dati 2021 sulla radianza del satellite Visible Infrared Imaging Radiometer Suite (VIIRS), abbiamo confrontato 28 siti, tutti ospitanti telescopi con aperture superiori a 3 m, più alcuni siti selezionati aggiuntivi. Abbiamo calcolato e analizzato cinque indicatori di inquinamento luminoso: radianza allo zenit; mediata alla distanza zenitale di 60°; mediato su tutto il cielo; media nei primi 10° sopra l’orizzonte; e irraggiamento orizzontale. Abbiamo riscontrato ampie variazioni dei valori degli indicatori, con un fattore superiore a 600 per la radianza artificiale zenitale tra gli osservatori maggiori meno e più inquinati. I risultati mostrano che due terzi di tutti i grandi osservatori hanno già superato l’aumento critico del 10% della luminosità rispetto ai livelli naturali ipotizzati. I risultati presentati e il metodo qui descritto possono aiutare a pianificare contromisure per ridurre l’impatto dell’inquinamento luminoso sugli osservatori. Questi stessi metodi possono essere utilizzati anche per proteggere l’ambiente notturno dall’impatto della luce artificiale (ad esempio sulla biodiversità, sul comportamento e sulla fisiologia degli animali, sulla salute umana).

Un riassunto (in inglese) è disponibile sul sito di Sky&Telescope.

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