Da “Il Friuli” del 2 novembre 2001 LE LUCI INQUINANO, I COMUNI SPRECANO
Hanno spento il cielo stellato. Intanto le bollette da pagare sono sempre più care e Udine spenderà nel 2001 quasi 4 miliardi.
Ancora pochi anni e non potremo più ammirare il cielo stellato.
Se l’espansione dell’illuminazione pubblica e dell’inquinamento luminoso da essa prodotto proseguirà ai ritmi attuali, secondo i ricercatori dell’Università di Padova che hanno effettuato un accurato studio del fenomeno, entro il 2025 la visione delle stelle sarà completamente preclusa, anche nelle zone montane, ultimo rifugio di quanti scrutano la volta celeste.
Non è il lamento di pochi inguaribili romantici decisi a farci ripiombare nel buio. Le vie illuminate danno ormai la misura del progresso di un Paese e nessuno può realmente pensare di tornare indietro. Si tratta invece di usare la tecnologia nella maniera giusta. La luce costa ed è anche piuttosto salata: non solo le bollette delle strade illuminate a giorno le paga “pantalone”, ma per produrla si inquina.
Il dato diventa inaccettabile quando si scopre che quasi il 50% della luce prodotta dai lampioni viene dispersa verso l’alto e non serve quindi a illuminare il piano stradale, e che l’adozione di lampade a bassa dispersione permetterebbe, a parità di efficienza, risparmi superiori al 40%.
Eppure, nessuno di noi a casa, memore degli insegnamenti sul risparmio, lascia accesa una lampadina durante la notte anche se non gli serve, oppure utilizza una lampadina da 100 watt per illuminare un locale dove ne bastano 40. Sarebbe uno spreco, uno sperpero di denaro, lo stesso al quale invece assistiamo lungo le nostre strade.
Soprattutto negli ultimi vent’anni, gli impianti d’illuminazione pubblica si sono moltiplicati a dismisura, in base alla regola che più luce c’è, meglio è. Capita così di trovare viali, spesso anche nelle periferie dei centri urbani, sui quali pur essendo il transito pedonale quasi o del tutto assente, è tuttavia possibile leggere tranquillamente un giornale anche in piena notte.
Attualmente, per la costruzione dei nuovi punti luce si fa riferimento alla normativa Uni 10819, che prescrive requisiti per gli impianti d’illuminazione esterna e per la limitazione della dispersione verso l’alto di flusso luminoso proveniente da sorgenti di luce artificiale. Essa, tuttavia, non considera la limitazione della luminanza notturna del cielo dovuta alla riflessione delle superfici illuminate o a particolari condizioni locali. Ma è proprio questa una delle cause maggiori di inquinamento.
Lampioni troppo potenti proiettano una luce talmente intensa da essere riflessa dal terreno e rispedita verso l’alto.
Di fatto poi, questa norma è avversata dall’Unione Astrofili Italiani (N.d.R.: oltre che da CieloBuio e dall’International Dark Sky Association), in quanto limita la protezione ai soli territori circostanti gli osservatori astronomici e non solo non evita l’inquinamento luminoso, ma è addirittura contrasta con le normative più evolute, come quella approvata recentemente dalla Regione Lombardia.
Nella sola città di Udine, funzionano 11.900 punti d’illuminazione con una spesa annua di circa 3 miliardi e 800 milioni. La provincia (N.d.r.: di Udine) non è da meno: un Comune di medie dimensioni come Tavagnacco sborserà nel 2001 circa 265 milioni, mentre spostandosi nella zona collinare troviamo Buia con una bolletta da oltre 170 milioni esclusa la manutenzione.
Le critiche sul modo di illuminare le nostre strade non sono legate esclusivamente all’inquinamento luminoso. Molti esperti, infatti, puntano il dito sulle conseguenze in termini di sicurezza stradale, spiegando che le strade troppo illuminate, oltre a provocare frequenti fenomeni di abbagliamento del guidatore, favoriscono l’aumento della velocità media dei veicoli. Se poi la carreggiata è ampia, allora i limiti di velocità diventano un optional.
È sufficiente fare un salto in viale Monsignor Nogara, per osservare le macchine sfrecciare a tutta velocità.
Non è un caso se in paesi come la Francia o la Svizzera, hanno deciso di riprogettare gli impianti seguendo il principio in base al quale la luce serve a chi cammina e non a chi guida. In pratica restano illuminati solo i punti pericolosi, come incroci o attraversamenti, mentre lungo i viali lampioni a bassa intensità rischiarano i marciapiedi e non più la carreggiata.
Gli esempi sul da farsi, anche in Italia non mancano. Oltre alla già citata legge regionale della Lombardia dedicata espressamente al contenimento dell’inquinamento luminoso, e che pare stia dando ottimi risultati, anche da altre parti d’Italia si stanno dando da fare.
Nella città di Frosinone, l’adozione di un apposito regolamento comunale ha permesso nel giro di tre anni di ottenere risparmi impensabili, con una riduzione del consumo di oltre il 40% e la drastica diminuzione dell’inquinamento luminoso nonostante la quantità di luce disponibile al suolo sia aumentata.
L’installazione di dispositivi che spengono automaticamente parte dei lampioni dopo una certa ora o la diminuzione automatica dell’intensità hanno fatto il resto.
Anche nel caso dell’illuminazione di edifici storici ci si trova davanti a un paradosso. I fari che li illuminano dovrebbero valorizzarli, mentre invece finiscono per falsare pesantemente la lettura delle superfici, disperdendo vaste porzioni di radiazione verso l’alto. In tal senso il progetto di illuminazione del Castello di Udine ha creato fra gli astrofili non poche preoccupazioni, ma Sabrina Baracetti, Presidente del Centro espressioni cinematografiche, promotore dell’iniziativa ha sottolineato che il progetto redatto da Spinotti sarà molto attento alla valorizzazione del complesso evitando al contempo inutili dispersioni di luce verso l’alto. Non resta che credergli e attendere.
Agli impianti pubblici vanno poi sommati quelli privati, ancora più dannosi. I fari che dal basso verso l’alto illuminano capannoni e centri commerciali, non solo sono mal direzionati, ma restano accesi anche per l’intera notte. Ancora peggiore è l’impatto dei fari utilizzati da alcuni locali pubblici, in grado di “sparare” fasci luminosi a chilometri di distanza.
Tali impianti purtroppo si sprecano e contribuiscono a peggiorare in modo consistente la situazione. Questi fari possono essere visti a decine di chilometri di distanza e, dato il loro movimento, sono in grado di illuminare vaste porzioni di cielo.
Quali le cause di questa situazione? Molte, ad iniziare dalla richiesta dei cittadini di maggiore illuminazione – come ci hanno spiegato molti amministratori pubblici – convinti che ciò equivalga a maggiore sicurezza. Anche in questo caso però, è un mito da sfatare, perché alcune ricerche condotte negli Stati Uniti pare abbiano dimostrato come una maggiore illuminazione favorisca i malviventi: soprattutto i topi d’appartamento possono fare a meno delle pile, e quindi sarebbero più difficilmente individuabili. Ma c’è dell’altro.
Sul settore dell’illuminazione pubblica gravitano parecchi interessi, primi fra tutti quelli dell’Enel che ovviamente non gradisce troppo programmi volti al risparmio. Ci sono poi i progettisti, ferventi sostenitori di nuove installazioni e poco propensi ad applicare le nuove tecniche, nonostante, il fatto non comporti una diminuzione dei ricavi.
La situazione è grave anche in Friuli Venezia Giulia, ma qualcosa si sta muovendo. Gli astrofili della regione, si stanno mobilitando per far approvare al Consiglio regionale una legge simile a quella lombarda: “Abbiamo presentato alla Regione – spiega Rolando Ligustri del Circolo Astrofili Talmassons, che ha da poco inaugurato il proprio osservatorio – alcune proposte, trovando molta attenzione. Speriamo che la legge venga approvata rapidamente perché la situazione sta rapidamente peggiorando. Vale la pena di sottolineare che anche da noi ci sono esempi positivi, come l’uso di lampioni full cut-off (zero dispersione) in alcune vie di Lignano. Si tratta però di insistere”.
Che le stelle stiano rapidamente scomparendo ce lo conferma anche Giovanni Sostero, responsabile dell’osservatorio dell’Associazione Friulana di Astronomia e Meteorologia a Remanzacco: “Mentre in passato l’inquinamento luminoso era confinato ai grandi centri urbani, oggi assistiamo al generale espandersi del problema, anche a causa delle zone industriali pesantemente illuminate senza che tuttavia si sia tenuto conto della dispersione verso l’alto. Ormai la gran parte dell’orizzonte è avvolto nella luce. Non è solo una questione di risparmio, ma anche culturale. Molti ragazzi oggi non hanno la benché minima idea di come sia fatto il cielo stellato.
Come se non bastasse, anche in montagna, dove dovrebbero puntare sulle risorse ambientali, e di certo il cielo buio è una di queste, continuano a installare luci”.
Esattamente il contrario di quanto fanno nella vicina Austria. In alcuni paesi, hanno preteso la limitazione dell’illuminazione pubblica dopo essersi accorti che un cielo buio portava turisti. Non è un caso se proprio nella località di Emberger Alm a Greifemburg si tiene annualmente uno dei meeting di astrofili più importante a livello europeo, con centinaia di partecipanti.
E proprio gli italiani, provenienti addirittura dal Sud Italia, sono moltissimi.
– Alessadro Di Giusto –