La riduzione dell’inquinamento luminoso
Novembre 1995 D31
Fulvio Fraticelli Adriano Palella
Premessa
…”e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Quando, all’inizio del quattordicesimo secolo, il nostro sommo poeta scriveva questi versi, era normale, alzando gli occhi al cielo durante la notte, osservare il baluginare di una miriade di stelle. Se oggi provassimo a rivolgere la nostra attenzione alla volta notturna con difficoltà riusciremmo a scorgere qualche corpo celeste. Le fonti luminose artificiali delle città, dei villaggi, delle strade, delle autovetture provocano un tale chiarore da offuscare le fonti luminose naturali. Siamo ormai addirittura costretti a inviare in orbita i nostri osservatori astronomici, non solo per superare il filtro dell’atmosfera, ma anche per annullare questa barriera di luce.
Non sono comunque solo i nostri occhi che scrutano il cielo; una miriade di organismi viventi utilizzano le fonti luminose naturali come strumento di orientamento. L’impossibilità di osservarle o i super-stimoli prodotti da sorgenti luminose artificiali provocano profonde alterazioni al loro comportamento che in molti casi si ripercuotono direttamente sulle loro possibilità di sopravvivenza.
L’inquinamento da luminosità artificiale è un inquinamento fisico e culturale che ha ripercussioni sull’uomo, sulla fauna e sulla flora.
Ridurre e razionalizzare gli impianti di illuminazione artificiale vuol dire invertire le tendenze, forse le più rozze ed inconsce della società occidentale, di controllo dell’ambiente.
Svelare la notte dalla coltre di piatte luminescenze è dunque l’obiettivo ecologico e culturale che il WWF si è imposto.
Considerazioni Generali
La notte “altra”
La notte è il contrario del giorno. é il luogo delle ombre, delle paure; è il momento in cui la percezione del mondo assume contorni diversi: la percezione è per masse; i toni dei colori sono scuri; la luminosità è diffusa, bianca.
Di notte la fruizione ottica ridotta eccita o concentra gli altri sensi. L’udito, volto ad ascoltare quanto non si percepisce visivamente; il tatto con il passo lento e misurato; l’olfatto. La non familiarità con questi sensi, la difficoltà di dirimersi e connettere i diversi input implicano una condizione di incertezza derivante dalla difficile decodificazione dei fenomeni e delle situazioni. Da ciò la differenziazione tra il giorno luogo della ragione e la notte luogo della sensazione.
La notte è stato il luogo della paura degli uomini antichi, il luogo dove ad un reale rischio di essere predati si aggiungeva la differenza verso la situazione in cui le capacità di difesa dell’uomo erano notevolmente ridotte. Ma anche l’uomo moderno diffidava della notte temendo, più che gli aggressori di altre specie animali, quelle dei suoi simili. La notte nasconde, agevola la fuga, facilita i mimetismi. La notte “inghiotte” come supremo atto di fusione tra l’uomo e il suo ambiente.
Il mondo notturno è il contrario del mondo solare e lo è anche culturalmente.
Il passaggio da una situazione originaria di incertezza ad una situazione culturale si è sviluppato nel tempo ma è da tempo consolidato, intorno ai fuochi nella notte si strutturano le relazioni, i riti, si determinano le modalità di relazione.
La cultura della notte, (evidentemente non del satanico che è superficiale interpretazione dell'”altro”), è parte della cultura, la notte ha strutturato il territorio, i percorsi dell’uomo.
La notte è parte dell’uomo
La notte parte dell’uomo in senso antropologo, in senso culturale ma anche in senso biologico. é il luogo del silenzio, è il luogo del riposo.
é quindi come il momento in cui modificandosi i caratteri del tempo si affrontano le cose o in maniera differente; ciascuno alla sua maniera riflette sul giorno e sui giorni. La notte è parte della nostra esistenza è parte inalienabile della nostra esistenza.
é anche quanto di più arcaico è presente nel nostro vivere. é il luogo dove le relazioni, i pensamenti, i tempi sono più vicini a quelli antichi; il luogo dove la modernità può risultare lontana e dove l’individuo ripassa la propria esistenza nel ripetere gestualità e modi antichi.
La notte e il territorio
La notte ha anche strutturato i comportamenti umani.
Essa ha cadenzato le giornate definendo in esse lo spazio delle relazioni allargate, quello delle relazioni tribali, quelle famigliari ed infine della solitudine in un fluire continuo e consequenziale dei tempi e delle attività.
Il lavoro è di giorno, la sera si organizza la casa e le sue relazioni, di notte si riposa.
All’organizzazione della giornata e del lavoro è corrisposta un’organizzazione del territorio:
* I luoghi di produzione agricola non devono essere distanti dai luoghi di residenza, così da permettere il raggiungimento della residenza durante l’imbrunire;
* Le case privilegiatamene si aggregavano anche in piccoli insediamenti onde permettere lo svolgimento delle relazioni nelle notti;
* Le case sparse erano di dimensioni tali da consentire la coabitazione a diversi nuclei familiari per ragioni di relazione e di sicurezza.
Seguendo questi criteri il territorio era organizzato privilegiatamene in piccoli nuclei ed aggregazioni anche grandi ed entità produttive – residenziali sparse (solitamente connesse alla grandezza degli appartamenti agricoli). Di notte comunque le relazioni non erano diffuse ma concentrate: in casa, nello spazio della veglia in paese, in piazza.
Le piazze, i luoghi pubblici, le case erano i luoghi della “veglia”, gli unici luoghi illuminati. Il resto del territorio era buio le persone raggiungevano la veglia, nel buio.
Gli insediamenti erano riconoscibili nella notte per essere gli unici ambiti illuminati.
Il territorio così anche se di notte aveva una sua conformazione; la sua struttura era rileggibile; vi era un vicino ed un lontano, un obiettivo da raggiungere che si dichiarava attraverso una precisa luminosità.
Le luci davano il tempo della percorrenza; erano il punto da raggiungere nel buio.
La notte e le case
La notte penetrava nelle finestre. Le case divenivano buie. I movimenti si rifacevano, le occupazioni divenivano più intime (riposo, igiene, etc.). Questo non nel passato lontano: una casa degli anni dell’anteguerra, anche urbana, era conformata a queste modalità.
La luce in casa, anche quella elettrica, illuminava parti delle abitazioni: angoli di lavoro, di riposo. Dai coni di luce si usciva e si rientrava.
La luce creava ombre, i volti acquisivano profondità. G. Latone ha illustrato nei suoi quadri l’intimità degli interni illuminati dalle luci di candela nel 600. Quella stessa luminosità resa più ferma da altri tipi di illuminazione è stata presente fino a 40 anni fa.
La perdita di identità
Nella società occidentale contemporanea la notte è un indugio del giorno. é un impedimento allo svolgimento delle attività produttive, residenziali, ricreative e come tale è stata bandita. Si è persa la ragione della sua esistenza, si sono interrotte le relazioni tra essa e l’individuo. La notte deve quindi essere fornita di quelle strumentazioni che non rendono disagevole la sua fruizione.
Ed ecco che si illuminano le strade interne dei paesi, e quelle esterne per consentire una velocità elevata ai veicoli.
Le persone diffidano della notte in quanto arcaica. L’illuminazione è progresso, è indice (fuorviante) di benessere, di modernità. Un paese illuminato è un paese moderno, è un paese sviluppato.
Si è dunque proceduto sulla spinta di una domanda reale o sostenuta ad illuminare tutti i paesi e tutte le strade.
Come la notte così il territorio notturno ha perso identità: è un continuo di luminosità che rende in identificabili i siti in cui ogni cosa si assomiglia.
I luoghi non sono più riconoscibili e ogni insediamento rimanda ad un altro, ciascuno ha perso la sua identità per essere qualcosa che in realtà non esiste.
Ma anche le città al loro interno sono modificate. Come in una stanza in cui tutti urlano i discorsi non si connettono, così le insegne e le luminescenze non dicono più, si autodichiarano senza bisogno che nessuno le legga.
é il caos di illuminazione pubblica e di insegne.
Ma anche nelle case la luce occupa tutto lo spazio: non vi sono più angoli nascosti, non più penombre. Solo luce sparata, esagerata. L’abbondanza di mezzi, la ricchezza, la semplicità di uso non rendono facile una corretta utilizzazione nemmeno in campo domestico.
é facile abusare: non costa fatica, è bello, moderno.
La perdita di intelletto
é dunque possibile che si debba praticare lo sport di notte con impianti di illuminazione forsennati? é così necessario giocare a calcetto o a tennis sotto migliaia di watt? é forse necessario illuminare numerosi depositi, strade desolate, vie deserte? O forse non è plausibile operare un progetto del territorio notturno in cui le singole parti riprendano le corrette posizioni, sostituendo all’insieme omogeneo e irriconoscibile le luci e il buio: la forma si dà con il negativo, con il pieno e il vuoto, con diversi colori; se tutto brilla non c’è forma.
é dunque così indispensabile avere una luce così forte ovunque, così piatta, così abbagliante?
L’abuso di luce mostra le cose e si mostra, abbassa i veli, non permette interpretazioni, è come una vecchia megera avvezza a farsi guardare: mostra se stessa e toglie significato al rimanente,
L’abuso di luce è volgare.
A fronte della volgarità di chi utilizza la quantità non è forse possibile una maggiore qualità della luce e la ricostruzione di una relazione qualificata tra luce, livello di luminosità, territorio e uomo.
Cambiare il modo di vita: nel caso andare a letto prima o se no abituarsi alla luminosità della notte.
Considerazioni specifiche
Impatto sulla fauna
In termini tecnici l’essere attratto da una fonte luminosa viene chiamato fototropismo positivo. Tutti noi, durante qualche serata estiva, abbiamo avuto occasione di osservare una falena,entrata dalla finestra lasciata aperta, svolazzare impazzita intorno alla lampada che illumina la stanza per poi cadere esausta sul pavimento. Si pensi all’impatto che migliaia di lampioni e di insegne luminose possono provocare sulle popolazioni di lepidotteri notturni.
Nelle vicinanze di Matera vi è una lampada a vapori di mercurio da 2000 W, utilizzata per l’illuminazione di una statua, che purtroppo è divenuta tristemente famosa. Nel 1992 è stato calcolato dall’entomologo tedesco Axel Hausmann che ogni notte, da maggio a settembre, circa 5000 farfalle notturne vi vadano a morire. L’intero sistema di illuminazione della zona attrae circa 5 milioni di individui l’anno.
Un altro aneddoto famoso è ciò che accadde l’8 maggio 1946 a Parigi quando, dopo sei anni oscuramento a causa della guerra, fu illuminato l’Arc de Triomphe con dei riflettori militari per festeggiare il primo anniversario della Vittoria. Milioni di farfalle notturne coprirono in pochi minuti il monumento ma, ripristinata l’illuminazione pubblica, nel giro di pochi mesi non fu più possibile osservare neppure una farfalla.
Ogni anno il nostro paese è sorvolato da una moltitudine di farfalle notturne migratrici, tra cui alcune Sfingi che sono nate in Africa; sulla loro rotta trovano una serie ininterrotta di luci pronte ad ammagliarle e a condurle a morte sicura.
Quando nel 1880 Edison mise a punto la sua prima lampada a incandescenza e quando l’illuminazione pubblica a gas lasciò il posto a quella elettrica, per molte specie iniziò un rapido declino
Non soltanto i lepidotteri, ma anche coleotteri, ditteri, efemotteri e una miriade di altri insetti utilizzano la luna e le stelle fisse come riferimento per orientarsi nei loro voli notturni che conseguentemente vengono alterati da qualsiasi fonte luminosa artificiale. L’intensità della luce lunare, quando questa è piena e si trova a 90° è di 0,371 lux (l’unità di misura dell’intensità luminosa), quella delle stelle varia tra 0,0108 e 0,0003 lux, quella di qualsiasi lampadina a basso voltaggio supera ampiamente questi valori. Le lampade stradali che attirano maggiormente gli insetti sono quelle che emettono un’alta percentuale di radiazione ultravioletta; in assoluto quelle più pericolose sono quelle a vapori di mercurio, ma anche quelle al sodio, ad alta o bassa pressione, provocano danni alle comunità animali.
Si deve inoltre considerare l’attrazione provocata dai fari delle automobili; l’insetto che si lascerà attrarre finirà sicuramente contro il parabrezza o il radiatore che spesso divengono delle vere e proprie collezioni entomologiche.
Anche tra i vertebrati l’inquinamento luminoso provoca profonde alterazioni dei cicli vitali. Sono purtroppo famosi i casi di Tartarughe marine appena uscite dall’uovo che, scambiando le luci delle costruzioni edificate alle spalle della spiaggia per il riflesso delle stelle sulla superficie del mare, invece di dirigersi nella direzione di questo, andarono a morire, disseccate, una volta sorto il sole, tra le dune dell’entroterra. L’aumento del turismo sulle coste greche e turche, dove ancora numerose vanno a riprodursi le Tartarughe marine, provoca danni anche di notte quando i bagnanti hanno abbandonato le spiagge e si sono ritirati negli alberghi, nei ristoranti e nelle villette che, sfavillanti di luci, sono sorti nell’immediato entroterra.
é da tempo noto l’effetto attrattivo che la luce effettua nei confronti dei pesci e di altri organismi marini. La pesca con le lampare era una pratica molto diffusa nel nostro paese fino a poco tempo fa. Che effetto avranno sulle comunità di organismi marini le centinaia di migliaia di luci che dalle coste e dalle imbarcazioni rischiarano le acque dei nostri mari?
Ancora in buona parte sconosciuti e per ora difficilmente quantificabili, sono i danni che l’inquinamento luminoso provoca agli uccelli. In questa classe di vertebrati esiste una particolare sensibilità nei confronti della luce. La ghiandola pineale, situata nel cervello e particolarmente sviluppata, riesce a percepire la presenza di luce che penetra attraverso le pareti del cranio anche se gli occhi sono stati bendati. Non a caso questa ghiandola è stata chiamata fin dall’antichità “terzo occhio”.
é noto che molte specie di migratori notturni, generalmente Passeriformi che superano difficilmente i 20 grammi di peso, utilizzano la luna e le stelle fisse come riferimento per mantenere la rotta durante i loro voli. Quando queste sono superate in intensità da fonti luminose artificiali il volo di migrazione, che permette solamente piccolissimi errori di rotta, può essere radicalmente deviato. Il rischio di trovarsi in alto mare o in pieno deserto senza carburante, il grasso sottocutaneo che l’uccello deve accumulare ad ogni sosta, diviene così estremamente probabile. Da recenti studi, che hanno evidenziato le basi genetiche della migrazione, parrebbe risultare che anche le aree di sosta e di “rifornimento” siano impresse nel patrimonio cromosomico degli uccelli; se così fosse la possibilità di adattarsi ad un “atterraggio di fortuna” nell’eventualità di trovarsi fuori rotta, diverrebbe poco praticabile.
Nell’Oasi di Palo si cercò alcuni anni fa di svolgere una ricerca sulle tecniche di orientamento degli uccelli migratori utilizzando particolari gabbie in cui, sugli individui ospitati per breve tempo, era possibile raccogliere dati relativi alla direzione di volo. A causa della vicinanza con Roma e all’intenso chiarore che da questa si diffondeva nel cielo, gli esperimenti furono tutti invalidati. Gli uccelli che in primavera avrebbero dovuto avere una direzione di volo migratorio verso nord – est si dirigevano invariabilmente a sud -est, appunto in direzione della luce di Roma.
Non esistono dati circostanziati ma sicuramente l’impatto nei confronti delle popolazioni di migratori, sommandosi agli altri elementi di alterazione ambientale, è estremamente deleterio e teoricamente potrebbe portare alla estinzione di intere popolazioni.
In letteratura sono comunque noti i danni che l’attrazione per la luce dei fari, specialmente nelle notti di nebbia, possono causare all’avifauna. Per risolvere il problema, o se non altro per affievolirlo, su molti fari posti lungo le rotte migratorie del mar del nord, sono stati posti dei posatoi, chiamati scale di Thiysse, illuminati da una serie di piccole lampade, (dispositivo di Weigold) che non disturbano il normale funzionamento del faro. Prima dell’utilizzo di tali dispositivi si potevano rinvenire ogni mattina centinaia di uccelli morti ai piedi del faro con addirittura punte di 500 Beccacce in una notte.
Esistono anche casi in cui una specie animale può trarre vantaggio per fini alimentari dalla presenza di fonti di illuminazione; si tratta comunque sempre di fenomeni di alterazione della biologia di una specie che vanno a discapito della specie preda. Anche all’interno di grandi città come Roma possono essere osservate varie specie di Pipistrelli che, compiendo veloci incursioni nel fascio luminoso dei lampioni stradali, catturano gli insetti che sono stati attratti dalla luce. Si conoscono addirittura casi in cui specie prettamente diurne come le Rondini e i Balestrucci hanno cambiato le loro abitudini per sfruttare questa insolita fonte di cibo. Ancora più eclatante fu il caso riscontrato alla periferia di Cagliari di un Falco pellegrino che, appollaiato sui tralicci di una raffineria di petrolio, attendeva gli uccelli migratori notturni che venivano attratti da un potentissimo faro che illuminava a giorno gli impianti per motivi di sicurezza.
Impatto sulla flora
L’impatto che le fonti luminose possono avere sulla vegetazione non è stato ancora valutato anche s e si conosce il fondamentale ruolo che questa forma di energia gioca per l’esistenza di questi esseri viventi. Le prime ricerche che hanno evidenziato il fenomeno del fotoperiodismo( il succedersi di processi fisiologici, ecologici e comportamentali in relazione alla durata delle ore luce) sono state realizzate proprio utilizzando dei vegetali. Un prolungamento artificiale del giorno, meccanismo frequentemente utilizzato per le coltivazioni produttive in serra, crea sicuramente profonde alterazioni all’intera biologia dei vegetali. Si conosce infatti il caso di alcune specie erbacee che, crescendo sui bordi di una strada ad alta percorrenza e venendo illuminate quasi costantemente durante le ore notturne dai fari delle automobili, avevano subito delle alterazioni al loro fotoperiodo fiorendo in pieno inverno.
Una ipotesi di proposta operativa: il censimento del buio
Attraverso questa attività si vuole far constatare direttamente come quanto enunciato corrisponda alle reali condizioni e stimolare attraverso la constatazione ad una riflessione specifica.
Lo strumento della constatazione è l’invito a censire le aree varie ovvero non illuminate di notte da luci artificiali. Tale censimento si attua spedendo una (o più) cartoline prestampate che saranno così strutturate:
livello A: buio totale;
livello B: buio con luci in lontananza puntiformi;
livello C: paesi, luminosità concentrate;
livello D: immersi nella luminosità.
Sulla base dei risultati ottenuti potrà elaborarsi una mappa dei punti bui e dei livelli di luminosità diffusa ( nel caso con l’ausilio delle foto d satellite).