Vogliamo il cielo di trent’anni fa

C’è un tipo di inquinamento nuovo, ma che non è nuovo, perchè esiste da molto tempo prima degli altri, un tipo di inquinamento di cui nessuno ha mai sentito palare, ma che tutti, nondimeno, hanno sotto gli occhi in ogni momento, un tipo di inquinamento stupido, più stupido di tutti gli altri, che già sono stupidi a sufficienza, ma che nemmeno il più intelligente dei politici, degli ecologi, degli urbanisti ha mai sentito porbabilmente nominare, a meno che non conosca personalmente qualcuno dei pochi soggetti che in Italia se ne occupano: l’inquinamento luminoso.
L’autore in questo articolo ci descrive quali sono le limitazioni che comporta questo tipo di inquinamento per chi osserva il cielo e quali sono le possibili soluzioni per limitarne gli effetti, ottenendo inoltre un notevole risparmio di energia.

di Gabriele Vanin

Sicuramente quando l’uomo primitivo riuscì ad accendere per la prima volta il fuoco e ad utilizzarlo non solo per scaldarsi e cucinare, ma anche per illuminare la sua caverna, mai avrebbe pensato che la luce, l’eccessiva luce, sarebbe diventata di lì a molte migliaia di anni un problema. é un problema, perchè‚ la luce genera quella forma di inquinamento di cui dicevamo in apertura, l’inquinamento luminoso, che rischia non solo di farci vivere peggio, come altre forme di inquinamento, ma che ci toglie addirittura il rapporto con tutto l’universo.
Le luci, da sempre, sono state sinonimo di benessere e di prosperità: una società felice ha molte luci e, quando la società è più felice di sempre, davvero o, com’è più probabile, ipocritamente e per finta, come sotto le feste natalizie, allora accende ancora più luci. Ecco, allora, che abbiamo sotto gli occhi l’essenza stessa del fenomeno: le metropoli, le città, medie e piccole, ma anche i paesi fanno a gara a diventare sempre più luminosi, sempre più rutilanti di luci. Ed ecco la stipidità: lamentarci perchè c’è la crisi, perchè paghiamo troppe tasse, perchè perdiamo il lavoro, e poi incentivare o permettere tutto questo.
Non ho niente di personale contro le luci, intendiamoci. Mi emoziono sempre, quando dalla cima di una montagna scorgo le luci multicolori di una città, e trovo che lo spettacolo ha un suo innegabile fascino. Trovo anche molto attraenti certi tipi di lampade per l’illuminazione stradale, nonchè le soluzioni escogitate per illuminare sapientemente i monumenti antichi. E sò apprezzare la grande utilità che le luci hanno nella vita di tutti i giorni, dalla sicurezza stradale a quella pubblica o, più banalmente, alla possibilità di riconoscere per strada, anche di notte, un amico o un conoscente che ti passa vicino senza rimanere per te un fantasma, o di prendere il buco della serratura della porta di casa.
Ma non è questo il punto. Nessuno si sogna di metttere in discussione le luci relativamente alle loro funzioni essenziali. Il problema è che oggi l’illuminazione, anche se magari non ce ne accorgiamo, viene utilizzata per tutt’altri scopi. Ad esempio, per l’arredo urbano, ovvero per decorare con lampade, lanterne, lampioni o altri ammennicoli un centro cittadino.Peccato che, a differenza degli arredi diurni, le lampade occorra anche accenderle di notte (altrimenti che ci stanno a fare?): ma la luce elettrica costa, non ce la regalano mica! E in momenti come questi di crisi economica e delle
risorse energetiche, non so se ce lo possiamo permettere. Ma avete mai sentito qualcuno che, fra le varie proposte di risparmio energetico, tiri in ballo anche l’illuminazione pubblica? Al massimo qualche organizzazione si è spinta fino a parlare delle lampadine per uso interno. Bella forza di ambientalisti (ci tengo a precisare che lo sono anch’io): complimenti a Greenpeace, WWF, Italia Nostra, Legambiente e via discorrendo.
Un altro scopo a cui sembra destinata l’illuminazione pubblica è una specie di gara sociale: il paese che fa le luci più grosse, che si vedono da più lontano, che abbagliano di più, che sono disposte a minore distanza, vince. Peccato che queste luci non servano a qualcosa, visto che di solito vengono installate in strade semideserte, dove non passa nessuno dopo le nove di sera. Però i paesani litigano per averle, perchè‚ sono necessarie, perchè‚ è il Comune, e quindi i cittadini, in fin dei conti, a pagare.

– Ma sono soldi nostri! – , rispondevano al povero Giulio Fajeti, che tre anni fa si era permesso, dalle colonne del Gazzettino, di mettere in dubbio l’utilità e di sottolineare gli sprechi delle luminarie di Natale. Come si accennava, un altro scopo dell’illuminazione pubblica moderna, apparentemente più nobile, è quello di proteggere i cittadini dai malintenzionati: peccato che molti studi dimostrino proprio il contrario, e cioè che il crimine aumenta là dove proliferano le luci (forse perchè‚ il malvivente sa che dove vi sono luci sfarzose ed abbaglianti c’è qualcosa da difendere) e che nessuna installazione luminosa in nessuna zona del mondo ha mai fatto diminuire la percentuale di furti o rapine. D’altra parte, le luci per la sicurezza sono così spesso abbaglianti e maldirette che danno fastidio piuttosto al proprietario o alla forza pubblica che non a un accorto criminale. Ma, più in generale, sembra che il prolifarare delle luci risponda soprattutto ad una pulsione atavica, a una colossale paura, terrore quasi, del buio. é assurdo che sia l’uomo moderno, alle soglie del terzo millennio, a provare una sensazione che forse non albergava neanche in Neanderthal, col suo piccolo cranio. Se non altro perchè‚ lui, e tutti gli uomini prima di quello moderno, sapevano che di notte non c’è nulla più di quanto c’è di giorno, con in più, naturalmente, il nostro massimo bene, l’oggetto dei nostri desideri, quella cosa, anzi, quelle cose, per le quali abbiamo imbastito tutto questo ragionamento, e di cui arriveremo a parlare alla fine, fra poco. é assurdo, certo, ma come si può spiegare, altrimenti, che in molte città la notte si stia facendo giorno, che molte aree urbane, come testimoniano a sufficienza le immagini scattate dai satelliti di notte, abbiano un livello di illuminazione addirittura mostruoso? O che i russi inventino gli specchi per illuminare le notti dallo spazio? O, più banalmente, che le amministrazioni tengano le luci accese per tutta la notte, con un rapporto costi-benefici del tutto risibile?


Il buio non fa paura, non deve far paura. Deve fare molta più paura la spesa assurda che va ad incidere sulle tasche di tutti noi, del costo che le luci eccessive, ridondanti, malpensate, malcostruite e maldirette hanno per la comunità. Ma, considerato che gran parte del fascio luminoso delle lampade urbane è rivolto non verso il basso, dove serve, ma verso l’alto, c’è una cosa che deve fare ancora più paura e, personalmente, devo dire che mi terrorizza addirittura, e non stò scherzando: che di qui a pochi anni, se continua così, l’uomo avrà perso la memoria del cielo stellato; le luci in terra avranno cancellato quelle in cielo. Le stelle, quelle stelle che sono così importanti per noi, spariranno per sempre, e i nostri bambini non sapranno mai che sono esistite.
– Che importa – , dite, ci sono cose ben più rilevanti? – Che importa, resteranno disoccupati soltanto i poeti e gli astronomi, la gente si innamorerà guardando la televisione o interagendo al computer e non tenendosi per mano sotto la volta celeste?-
Certo, si può pensare anche così, la maggior parte della gente, probabilmente, è di questo avviso. Ma desta comunque stupore che con queste parole si possa esprimere anche un poeta, se tale può essere definito Giovanni Raboni, che dalle colonne del Corsera qualche mese fa ironizzò pesantemente sulla questione quando di essa si parlò anche in termini legislativi. Ma rischiamo di perdere di più, rischiamo di perdere l’intero universo: ci rendiamo conto di che cosa sarebbe l’uomo, oggi, senza la conoscenza dello spazio esterno? Vogliamo riconoscere, si o no, che quello che c’è là fuori è di gran lunga più importante di qualunque cosa che strisci sulla superficie del nostro pianeta? Vogliamo accettare, ci piaccia o no (ma quanto è bello, invece, saperlo) che senza stelle, pianeti, galassie non ci saremmo nemmeno noi, che la materia che abbiamo intorno è venuta da lì, e le cellule che formano i muscoli delle mie dita che battono sui tasti e i neuroni della vostra corteccia visiva che vi consentono di leggere quanto scrivo sono materia stellare, energia stellare, vita stellare?

Ma non è soltanto un debito di riconoscenza che dobbiamo pagare. Non è solo riferito al passato il nostro legame con l’universo. Continua tuttora, e lo farà per un tempo che confina strettamente con l’eternità. Il Sole, per esempio, è un oggetto astronomico così importante che risulta ozioso il farlo notare. é stato scritto giustamente che per noi è la cosa più importante in assoluto. é vero, sicuramente non verrà inghiottito dalle luci, ma solo se le luci ci continueranno a permettere di vedere le altre stelle, quelle lontane, sapremo precisamente che cosa aspettarci dalla “nostra” stella, nel futuro.


Ma c’è di più: la Terra è immersa in un nugolo di oggetti pietrosi e metallici che potrebbero colpirla e indurre catastrofi su larga scala, come è già successo decine di volte nel passato; il radar non è sufficiente per assicurarci il futuro, occorre che i cieli siano ancora abbastanza scuri per consentire ai telescopi ottici di censire per bene gli asteroidi “grattaterra”, per scongiurare un disastro che potrebbe avvenire, per quel che ne sappiamo, anche domani. Inoltre, una stella nei dintorni del Sole potebbe esplodere come supernova e distruggere la vita sulla Terra; queste esplosioni dovrebbero avere dei segnali premonitori, tali da consentire delle efficaci contromisure; ma un cielo chiaro non permetterebbe nè‚ di evitare la calamità, nè, nel frattempo, di studiare le altre supernovae, più lontane, per sapere se e come funzionano i segnali di preavviso. Ancora, i movimenti del cielo stellato, lo si capisce sempre meglio, costituiscono una formidabile palestra naturale per avvicinare milioni di bambini e adolescenti alla scienza, senza il bisogno di laboratori o sofisticate apparecchiature. E, tra l’altro, il cielo l’unica macchina che funziona senza bisogno di energia o manutenzione, basta un pò di pazienza, un clima favorevole e, naturalmente, un cielo scuro. Sono solo esempi: potrei continuare, se non temessi di annoiare.


Vorrrei solo puntualizzare bene questo concetto: non è possibile pensare che la Terra possa separarsi artificiosamente da tutto il resto. La Terra, solo la Terra, avrebbe tutto da perdere: noi abbiamo bisogno dell’universo, l’universo non ha bisogno di noi. Una delle conseguenze più ovvie della relatività einsteniana è che, se non ci fosse l’universo, se l’intero universo, là fuori, sparisse in un istante, il nostro pianeta finirebbe in una bolla di sapone. Pensiamo, comunque, al lavoro degli astronomi, che sono i più colpiti, assieme a noi astrofili, dal proliferare dell’inquinamento luminoso: pensate che sia proprio così inutile? Conoscere qual è il nostro posto nell’universo, sapere se c’è vita oltre alla nostra, apprendere le somiglianze e le differenze fra i pianeti del sistema solare e fra le altre stelle ed il Sole, fra la nostra Galassia e le altre: sono cose da considerare con distacco? Non riguardano forse tutti noi, la nostra vita?


Va anche rilevato che a uscire malconci da questo stato di cose non sono solo il cielo o il borsellino. L’eccesso di luci penalizza l’ambiente nel suo insieme. Trasformare la notte in giorno non va molto d’accordo con i ritmi naturali, nè‚ delle piante nè‚ degli animali, compreso l’uomo. Vi sono già diversi studi che lo dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio. Per questo è ancora più colpevole il silenzio delle associazioni ambientalistiche.


Che cosa fare, allora? La riduzione dell’inquinamento luminoso si può ottenere. Adottando per esempio lampade di tipo diverso da quelle abitualmente impiegate per l’illuminazione stradale, che sono ad incandescenza, quelle, per intenderci, di colore giallo pallido e che fanno una luce abbastanza fioca, simile a quella delle lampadine di casa. Queste emettono su tutte le lunghezze d’onda, ovvero la loro luce è simile a quella solare. Secondo i tecnici dell’illuminazione queste lampade, che sono di tipo vecchio e scarsamente efficienti, sono quasi scomparse dal parco illuminativo pubblico nazionale, ma non sembra così, a delle rapide verifiche.
Le lampade alternative sono di vari tipi. Ci sono quelle ai vapori di mercurio e di sodio. Le prime, tuttavia, hanno lo svantaggio della scarsa efficienza e di emettere pericolose radiazioni ultraviolette se non opportunamente filtrate. Se filtrate, le radiazioni si trasformano in radiazioni visibili particolarmente centrate nella regione del blu. Ecco perchè‚ esse ci appaiono di quel colore. Le lampade al sodio sono quelle di colore giallo e si dividono nei tipi ad alta (giallo più chiaro) e a bassa pressione (giallo più scuro). Quelle ad alta pressione sono le migliori per quanto riguarda la percezione dei colori, ma non sono molto efficienti e inquinano notevolmente nella regione gialla dello spettro. Dal punto di vista astronomico le lampade al sodio a bassa pressione (LPS, iniziali di Low Pressure Sodium) sono le migliori poichè‚ l’emissione di luce è limitata a una ristretta banda e sono quindi facilmente filtrabili. Inoltre, la loro efficienza è molto alta. Per confronto, mentre le lampade ad incandescenza producono solo 20 lumens per watt, e quelle ai vapori di mercurio 54, quelle al sodio ad alta pressione ne producono 125 e le LPS addirittura 183. L’unico inconveniente di queste ultime è che non consentono di percepire i colori. Non sembrano quindi adatte a tutte le esigenze. Potrebbero tuttavia essere adottate integralmente per l’illuminazione stradale. Già ora vengono utilizzate per segnalare la presenza di incroci, mentre sulle strade vengono preferite quelle al sodio ad alta pressione. Considerando che gli automobilisti non hanno particolari esigenze di percezione dei colori, si potrebbe fare il contrario. Sicuranmente, comunque, il fattore più importante è quello relativo alla schermatura. Molto spesso infatti, come si accennava, il fascio luminoso della lampada non è rivolto interamente verso il basso, ma spesso esce di lato e addirittura verso l’alto. é quindi opportuno che anche le lampade migliori, le LPS, siano ingabbiate, facendo sì che il fascio luminoso punti verso il basso, verso la sede di elezione (strada, parcheggio, stadio), senza disperdere inutlilmente energia verso l’alto, dove non serve a nessuno. é chiaro, sotto questo profilo, che la guerra va dichiarata soprattutto a quelle assurde lampade, a forma di lanterna e a sfera, che diffondona la loro luce dappertutto fuorchè‚ dove serve veramente. Molto può essere fatto anche nella valorizzazione dei centri storici e dei monumenti, valutando meglio le direzioni dei fasci di luce da disporre o addirittura, quando la rilevanza storica o architettonica di un manufatto è nulla, come succede spesso, valutando se togliere del tutto l’illuminazione.
Un altro problema è costituito dagli impianti di illuminazione notturna degli stadi. Anche piccoli impianti possono essere molto fastidisi, non solo per gli amanti del cielo stellato, ma anche per gli automobilisti. Il disturbo è dovuto soprattutto al fatto che gran parte del fascio luminoso dei proiettori deve essere effettivamente rivolto verso l’alto, per illuminare non solo il terreno di gioco, ma anche lo spazio aereo fino ad un’altezza di diversi metri. Tuttavia diverse aziende hanno recentemente progettato, e qualcuna anche installato degli impianti di illuminazione con proiettori meglio diretti e opportunamente schermati in modo da evitare inutile dispersione di luce verso l’alto. Un’opportuna strategia di contenimento è anche quella di diversificare il livello di illuminazione di uno stadio a seconda dell’uso che ne viene fatto, per l’allenamento, per la competizione ordinaria o per la competizione ad alto livello, invece che utilizzarla sempre alla massima potenza. Non parliamo poi del laser delle discoteche che si stanno purtroppo diffondendo a macchia d’olio. Già tante e tali sono state comunque le lamentele per il disturbo arrecato agli automobilisti e al traffico aereo che è sperabile prevalga, almeno in questo settore, il buonsenso. Che cosa si è fatto, fino a questo momento, in Italia, per combattere il fenomeno? Non molto per la verità. Da molti anni, almeno una dozzina, si parla del problema sulle riviste di astronomia, ma solo negli ultimi due anni si è usciti da un’opera di mera denuncia e sensibilizzazione. Sia la Società Astronomica Italiana (Sait) che l’Unione Astrofili Italiani (UAI) hanno formato delle commissioni sull’Inquinamento Luminoso, e spesso hanno lavorato insieme. Per esempio, il 18 settembre 1993 hanno coorganizzato, assieme ad altre associazioni, la Prima Giornata Nazionale contro l’Inquinamento Luminoso.
La commissione dell’UAI ha attivato numerosissimi canali, dai contattti con industrie e ingegneri dell’illuminazione (che ignoravano totalmente il fenomeno), alla raccolta di materiale documentario di vario tipo, alla partecipazione a convegni del settore, alla redazione di articoli su periodici specializzati e non, alla promozione di conferenze sul problema, alla promozione di campagne di registrazione dello stato del cielo e delle sorgenti di inquinamento luminoso nel nostro Paese.
Fra le attività della commissione della SAIT vanno citate due importanti iniziative: la prima è il censimento dello stato del cielo degli osservatori astronomici italiani professionali; la seconda è la definizione di un disegno di legge che dovrà tutelare il cielo degli osservatori astronomici, professionali e non, presentato in Parlamento dall’on. Lino Diana. Questa legge prevede di ottenere un consistente risparmio energetico, oltre che con i modi già citati in precedenza, anche con l’adozione di dispositivi che permettano di ridurre la potenza delle lampade nelle ore centrali della notte e di lampade di potenza adeguata alla destinazione d’uso, senza sovradimensionamenti. é stato calcolato che l’insieme delle misure riportate porterebbe ad un risparmio annuo di circa 300-400 miliardi. In pratica, ciò significa che in Italia spendiamo almeno 300 miliardi di lire all’anno per illuminare il cielo anzichè‚ il suolo! é evidente che il risparmio ottenuto usando lampade al sodio a bassa pressione ben schermate sarebbe così elevato da pagare in pochissimo tempo i costi di sostituzione e installazione delle nuove lampade.


Ma non siamo certo quelli che stanno peggio. Negli Stati Uniti lo spreco è di 3000 miliardi l’anno. Proprio negli USA è stato dimostrato che la battaglia contro l’inquinamento luminoso non solo non risulta utopistica o velleitaria, ma può essere vincente. L’International Dark Sky Association che ha sede a Tucson, infatti, è riuscita a ridurre nel sud dell’Arizona l’inquinamento luminoso, che cresceva del 20% all’anno negli ultimi tempi, di un fattore 2. A Tucson, una città di 700.000 abitanti, si può vedere la Via Lattea anche dal centro citadino e l’osservatorio di Kitt Peak, che si trova a 65 km, ha un cielo molto scuro. Sempre negli USA, ha preso il via la titanica impresa di sostituire tutte le lampade di Los Angeles, una delle città più inquinate del mondo e che possiede ben 225000 punti luce, con nuovi tipi poco inquinanti. Tre anni fa è iniziata la sostituzione, che prenderà 40 anni per essere completata, ma ne varrà senz’altro la pena.


Purtroppo in Italia siamo ancora, è proprio il caso di dirlo, lontani anni luce da traguardi del genere, a causa del fatto che molti credono si tratti di una battaglia di retroguardia, contro il progresso e l’avanzamento tecnologico, e che il livello di illuminazione sia assolutamente connaturale al modello di sviluppo che ci siamo proposti in Occidente. Ma non è così: in altri paesi occidentali c’è già una cultura del cielo buio, come emerge chiaramente dalle foto scattate dai satelliti DMPS (Defense Meteorological Satellite Program) dell’US Air Force. La Francia e la Spagna, per esempio, come parti della Germania, sono molto più buie dell’Italia. D’altra parte, non stiamo peggio di tutti, in Europa: Inghilterra e Belgio sono molto più illuminati.


é difficile pensare che nel nostro paese si possa arrivare veramente a sostituire, nelle grandi città, le luci al mercurio con le LPS. Un traguardo non velleitario è però almeno quello di badare che vengano costruiti solo impianti di sicura necessità e che i nuovi impianti vengano muniti di queste lampade ad alta efficienza. Sotto questo profilo dobbiamo vigilare soprattutto in aree come la nostra provincia, che hanno una situazione per certi versi invidiabile, per impedire che anche i nostri centri e le nostre campagne siano trasformati in tante ville lumière.


Forse qualcuno pensa che vogliamo tornare alla candela. In realtà, non si vuole nemmeno diminuire il numero delle lampade e quindi la quantità di luce che serve allo svolgimento della vita sociale, quanto indirizzarla e impiegarla meglio, risparmiando nel contempo. é verso l’alto che noi vogliamo sia scuro, non sulle strade o nelle piazze o all’interno delle vetrine.


Di Terra ce n’è una sola, dicono gli ambientalisti; bene: noi diciamo che anche di cielo ce n’è uno solo, e non vogliamo perderlo. Giù le mani dal cielo!!

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