TAR PA 200401524 – PROV. TRAPANI – SAN VITO LO CAPO – INQUINAMENTO LUMINOSO

Una nuova sentenza utile nella lotta all’inquinamento Luminoso è stata emessa dal Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione II.

Si riporta il testo completo. N.1524/04 R.S. – N.5552 R.G. – ANNO 2003

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione II, ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso n. 5552/2003, sezione II, proposto dalla Provincia Regionale di Trapani, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Diego Maggio, Antonino Barbiera e Maria Stella Porretto, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Sciuti n. 55, presso lo studio dell’avv. Giordano
CONTRO
l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali ed Ambientali ed alla Pubblica Istruzione, in persona dell’Assessore pro tempore, e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, in persona del Soprintendente pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in Palermo, via A. De Gasperi n. 81, sono domiciliati per legge.
E NEI CONFRONTI
– del Comune di San Vito Lo Capo, in persona del Sindaco pro tempore;
– del Comune di Castelvetrano, in persona del Sindaco pro tempore;
– del Comune di Trapani, in persona del Sindaco pro tempore;
– del Comune di Paceco, in persona del Sindaco pro tempore;
– della Prefettura di Trapani, in persona del Prefetto pro tempore;
– del Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– del sig. Munna Marco;
non costituiti.
PER L’ANNULLAMENTO, PREVIA SOSPENSIONE
– della nota Servizio I – Prot. N. 04398 – Posizione PP.UU.XXI-2903 della Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani – Servizio per i beni architettonici, paesistici, naturali, naturalistici, urbanistici, Unità operativa 5^ de 1° luglio 2003;
– di qualsiasi atto consequenziale o presupposto;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni regionali intimate;
Visti gli atti tutti di causa;
Relatore il Referendario Giovanni Tulumello;
Vista l’ordinanza cautelare n. 1818/2003;
Uditi, alla pubblica udienza del 12 maggio 2004, i procuratori delle parti come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
FATTO
Con ricorso, notificato il 24 settembre 2003, e depositato il successivo 17 ottobre, la Provincia di Trapani ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
Con tale provvedimento la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Trapani ha denegato il richiesto nulla osta in sanatoria, relativo agli impianti di illuminazione realizzati dall’ente ricorrente in zone sottoposte a vincolo paesaggistico (strade provinciali 16, 56 e 21) ed in assenza di apposito titolo abilitativo, prescrivendo altresì la rimozione delle opere suddette in quanto pregiudizievoli rispetto alla tutela dei luoghi interessati.
Nel ricorso sono state dedotte le seguenti censure:
– eccesso di potere, travisamento dei fatti e violazione di legge; violazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990;
– eccesso di potere, violazione di legge e travisamento dei fatti; motivazione illogica e contraddittoria; violazione dell’art. 155 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, titolo II del regolamento approvato col R.D. 3 giugno 1940 n. 1357, del d.a. n. 699 del 20 marzo 1979, del D.A. 21 maggio 1999 n. 6080 di approvazione della carta dei percorsi panoramici allegata alle “linee guida del piano territoriale paesistico regionale”, dell’art. 5 delle “linee guida”.
Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali ed Ambientali ed alla Pubblica Istruzione, e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Trapani.
Con ordinanza n. 1818/2003, la Sezione ha rigettato la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
In prossimità dell’udienza di discussione la difesa erariale ha depositato memoria.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 12 maggio 2004.
DIRITTO
1. Il ricorso in esame ha per oggetto un provvedimento di diniego di nulla-osta paesaggistico in sanatoria.
L’ente ricorrente ha infatti realizzato, in zone sottoposte a vincolo, degli impianti di illuminazione viaria senza dotarsi del necessario titolo abilitativo richiesto in tale fattispecie (“per mera dimenticanza”, come si legge nell’istanza del 29 gennaio 2003, versata in atti dalla difesa erariale).
Sulla domanda di rilascio del nulla-osta in sanatoria, la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, con il provvedimento oggi impugnato, dopo aver richiamato le fonti dei vari vincoli esistenti sui territori in cui la Provincia di Trapani ha eseguito senza autorizzazione le opere di che trattasi, ha rilevato, in relazione a tutti gli impianti di illuminazione oggetto dell’istanza, la difformità rispetto al disposto dell’art. 17 delle “linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale”.
2. Poiché l’ente ricorrente ha rivendicato l’illegittimità del diniego del provvedimento di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, rilevando anzi in alcuni passaggi la doverosità del suo rilascio da parte dell’amministrazione intimata, occorre preliminarmente operare una propedeutica ricognizione del fondamento normativo di un simile provvedimento, che fino ad epoca piuttosto recente veniva ritenuto giuridicamente non configurabile.
Uno degli argomenti, e non di poco momento, in proposito espressi era quello secondo il quale un simile provvedimento in materia paesaggistica – a differenza che in materia urbanistica – non è previsto dalla legge.
Il revirement giurisprudenziale, fortemente criticato in dottrina, è stato argomentato con la ritenuta prevalenza del principio di economicità dei mezzi giuridici sul principio di tipicità degli atti amministrativi.
In giurisprudenza si è infatti affermata l’ammissibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma, id est successiva rispetto alla realizzazione dell’opera che avrebbe dovuto essere preventivamente assentita, rilevando come il principio di tipicità degli atti amministrativi non debba essere inteso in modo così rigoroso da imporre l’emanazione dell’atto in un preciso momento, in forza del principio di economia dei mezzi giuridici ed in ragione della sostanziale identità del potere esercitato (Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 31 ottobre 2000, n. 5851, seguita dal parere dell’Adunanza Generale, n. 4 dell’11 aprile 2002).
Tutto ciò, si precisa, a condizione che non vi osti un espresso divieto normativo, e che la soluzione sia consentita dalla specificità della materia, dagli elementi di fatto e dalla natura degli interessi coinvolti: “Non è infatti chi non veda come nel modulo autorizzatorio il rilascio del provvedimento a posteriori sia inibito quante volte circostanze di fatto o di diritto esauriscano l’esercizio del potere o ne compromettano l’effettività”.
Sotto questo profilo, la sicurezza con cui è stata affermata la compatibilità della soluzione teorica rispetto alla specifica fattispecie normativa dedotta sembrerebbe in realtà smentita dalla formulazione della disposizione che disciplina il provvedimento autorizzatorio in esame, dal momento che l’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, attribuisce a tale provvedimento (ed al relativo procedimento) una struttura chiaramente funzionale ad un controllo preventivo delle opere in zone paesaggisticamente vincolate, e non – genericamente – ad un controllo tout-court, insensibile alla sua collocazione logico-temporale nella sequenza che lo lega alla realizzazione dell’opera: “I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo dell’immobile, (….) debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.
Anche il testo dell’art. 151 del D. L.vo 29 ottobre 1999, n. 490 (che ha sostituito il citato art. 7), al secondo comma espressamente denomina il provvedimento in esame autorizzazione preventiva.
Che nell’ipotesi che si sta esaminando l’autorizzazione postuma non sia preclusa dalla peculiarità della fattispecie, il Consiglio di Stato lo ricava inoltre, con un tipico argomento a contrario, dalla circostanza che nel sistema esisterebbe già una sorta di autorizzazione postuma implicita, che è quella che si realizza allorché l’amministrazione, in sede di valutazione discrezionale sul mantenimento in vita dell’opera ovvero sulla necessità della sua demolizione (ai sensi dell’art. 15 della legge 1497/1939, ed ora dell’art. 164 del D. L.vo 29 ottobre 1999), decida che l’opera stessa non deve essere demolita, irrogando in luogo della demolizione una sanzione amministrativa pecuniaria, evidentemente sul presupposto della inesistenza di una lesione al paesaggio: “… la decisione di non procedere alla demolizione per effetto della ritenuta compatibilità dell’opera con il contesto paesaggistico oggetto di tutela implic(a), sulla base di una precisa opzione del legislatore, un’implicita autorizzazione al mantenimento in vita dell’opera, ossia una verifica che nella sostanza replica, sia pure ai soli fini della scelta della sanzione da applicare, lo stesso apprezzamento previsto in via preventiva dall’art. 7 della legge in parola” (Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2000, n. 5851, cit.).
Sotto questo profilo, “la circostanza che il legislatore non preveda la necessità di un provvedimento formale in sanatoria, reputando sufficiente al fine di salvaguardare l’esistenza in vita dell’immobile la scelta di non accedere alla sanzione della demolizione, non esclude la possibilità che detta valutazione di compatibilità paesistica, alla base dell’esito del procedimento sanzionatorio, venga esplicitata attraverso una determinazione sostanzialmente riconducibile, con le differenze di cui si dirà, al paradigma di cui all’art. 7. (…..) Detta inversione della sequenza procedimentale, oltre a non essere smentita dal dato positivo, si appalesa utile al fine di definire in termini espliciti, attraverso un titolo formale di legittimazione, la condizione giuridica di un’opera paesaggisticamente legittimata, ai fini della permanenza, mercé la valutazione di compatibilità paesistica e la conseguenza preclusione della strada della demolizione” (Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2000, n. 5851, cit.).
Peraltro, sotto il profilo effettuale, l’autorizzazione postuma non è un perfetto equipollente di quella preventiva, “essendo ben possibile che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, annetta alla violazione del dovere di far precedere la realizzazione di determinate attività da un titolo di assenso l’effetto dell’inflizione di sanzioni amministrative al pari dell’attivazione di meccanismi diretti a far risaltare la responsabilità penale e disciplinare del privato che abbia agito in difformità rispetto al percorso dettato in via normativa”( Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2000, n. 5851, cit.).
Uno dei profili differenziali fra l’autorizzazione paesaggistica preventiva e quella successiva alla realizzazione dell’opera, in punto di non equipollenza degli effetti, è dato – come si è visto – dalla possibilità di applicazione, nel secondo caso, delle sanzioni amministrative stabilite dall’art. 15 della legge 1497/1939, ed ora dall’art. 164 del D. L.vo 29 ottobre 1999, n. 490.
Ad esempio, una refluenza di tale non sovrapponibilità di effetti si ha in materia penale.
La Corte costituzionale, nell’ordinanza 46/2001, si sofferma ad esaminare la disposizione di cui all’art 39, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, direttamente inerente l’efficacia estintiva del reato paesaggistico conseguente all’emissione del provvedimento di sanatoria.
Tralasciando il profilo ritenuto dalla Corte – giustamente – assorbente, id est la natura “temporanea ed eccezionale” di tale disposizione, essa rileva come fosse sfuggito al giudice rimettente il significato del suo obiettivo contenuto normativo, nella parte in cui stabilisce che, per gli interventi edilizi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, “il rilascio della concessione edilizia o della autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, estingue il reato per la violazione del vincolo stesso”: il che è come dire, ad una attenta lettura, che l’efficacia estintiva del reato paesaggistico, richiedendo una valutazione di compatibilità della condotta operata dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, consegue non già al rilascio della concessione edilizia in sanatoria, bensì all’autorizzazione paesaggistica sopravvenuta.
Con riferimento alla disposizione in esame può obiettarsi, semmai, come fosse irragionevole richiedere per l’estinzione del reato paesaggistico, nella specifica ipotesi considerata, anche il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, e non soltanto il provvedimento che certifica l’inesistenza di una qualsivoglia lesione al bene tutelato dalla specifica incriminazione.
La concessione in sanatoria, al rilascio della quale la predetta disposizione subordina la declaratoria di estinzione del reato, deve, nel caso in esame (disciplinato dal citato art. 39 l. 724/1994), necessariamente affiancare l’autorizzazione paesaggistica sopravvenuta perché si sia in presenza di entrambi i presupposti richiesti per l’estinzione.
L’aver collegato l’effetto estintivo dell’autorizzazione paesaggistica sopravvenuta al rilascio della concessione edilizia in sanatoria potrebbe rivelarsi soluzione concretamente impraticabile nelle ipotesi – come quella di cui all’art. 2, comma 60, della legge 662/1996 – in cui, vuoi per le caratteristiche soggettive dell’autore dell’opera, vuoi per l’oggettiva natura di questa, non è richiesto il rilascio della concessione edilizia.
Ma al di là di tale profilo della necessaria (e discutibile) compresenza dei due provvedimenti autorizzatori come condizione per l’estinzione del reato paesaggistico (prospettiva che invero limita la propria rilevanza sull’ambito applicativo del citato art. 39), ulteriori spunti di riflessione vengono dal modo in cui la giurisprudenza penale ha inteso inquadrare, in linea generale, la figura dell’autorizzazione paesaggistica sopravvenuta rispetto alla fattispecie di reato di cui all’art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431.
Già nella sentenza 13.11.1995 – 14.02.1996, ric. P.M. in proc. Vacca, della III sezione penale della Corte di Cassazione, si rinviene l’affermazione che la possibilità di concessione in sanatoria, prevista in materia urbanistica, non sarebbe prevista in materia paesaggistica (nello stesso senso Cass., sez. III pen., 23 maggio – 26 giugno 1997, Alessi: “il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non determina l’estinzione del reato previsto dall’art. 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, poiché tale effetto non è stabilito da alcuna norma di legge. Il provvedimento de quo può assumere rilevanza soltanto con riferimento all’ordine di rimessione in pristino”).
L’affermazione della irrilevanza – al di fuori della fattispecie di condono disciplinata dal citato art. 39 l. 724/1994 – dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria rispetto al reato paesaggistico è poi espressamente ripresa da Cass., sez. III, 20 ottobre – 2 dicembre 1998, ric. P.M. in proc. Boscarato, da cui è stata tratta la seguente massima: “In materia ambientale l’autorizzazione paesaggistica deve essere rilasciata prima e non dopo l’esecuzione dei lavori. In tale ultimo caso l’effetto del provvedimento postumo non é l’estinzione del reato, ma soltanto l’esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, poiché l’amministrazione ha valutato l’opera e la ha ritenuta compatibile con l’assetto paesaggistico dell’area impegnata dall’opera realizzata. Infatti il ripristino é disposto con la sentenza di condanna, ma ha natura amministrativa e deve esser ordinato se, al momento della decisione, non é intervenuta sanatoria. Esso, fino alla completa attuazione, é revocabile in sede esecutiva.”
Dunque, l’intervento dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, pur comportando l’inoperatività della sanzione amministrativa della riduzione in pristino, purtuttavia non elide i profili di illiceità penale della condotta, così come i giudici amministrativi avevano chiarito la non equipollenza dell’autorizzazione postuma rispetto a quella preventiva sotto il profilo effettuale, dal momento che la prima legittima l’irrogazione della sanzione amministrativa dell’indennità stabilita per la “violazione del dovere di far precedere la realizzazione di determinate attività da un titolo di assenso” (Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2000, n. 5851, cit).
In altre parole, l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, nella misura in cui sia ammissibile in forma esplicita (come recentemente affermato dal Consiglio di Stato), lascia residuare dei profili di illiceità sia amministrativa che penale per l’inversione della sequenza procedimentale, che ha messo in pericolo il bene-interesse tutelato a seguito della costruzione non preventivamente autorizzata dell’opera.
La condotta (penalmente ed amministrativamente) rilevante non è dunque quella che lede tale bene, bensì quella che, alterando l’ordine della sequenza procedimentale stabilita dalla legge, lo mette in pericolo, pur se mediante la costruzione di un’opera risultata ex post compatibile con i valori della tutela.
Tutto ciò ha una sua precisa logica e, come si è visto, un ben preciso fondamento normativo: la circostanza, stigmatizzata nell’ordinanza di rimessione, che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria presuppone la conformità dell’opera tardivamente assentita al piano regolatore generale, e che tale strumento pianificatorio debba contemplare i vincoli paesaggistico-ambientali, non autorizza l’affermazione del giudice rimettente per cui, in forza di una sorta di proprietà transitiva del tutto contraria al sistema, il rilascio della concessione edilizia in sanatoria certifica la liceità penale della condotta del soggetto che ha costruito un’opera in zona paesaggisticamente vincolata in assenza della relativa autorizzazione.
3. Date le superiori premesse, vanno esaminati nello specifico i motivi di ricorso proposti dalla parte ricorrente.
Va anzitutto rilevato, in sede di scrutinio di tali censure, che con il ricorso in esame l’ente ricorrente, in relazione ad entrambe le censure sollevate, ha chiesto dichiararsi la “nullità” (pagg. 4, 8 e 11 del ricorso) del provvedimento impugnato.
Nondimeno, tale forma patologica è stata argomentata con riferimento a vizi dell’atto amministrativo che, per ultracentenaria tradizione giuridica, si ritiene che – ove ritenuti sussistenti – conducano non già alla nullità, ma all’annullabilità del provvedimento amministrativo; il quale, in forza del c.d. modo della equiparazione, può essere solo caducato in sede giurisdizionale nelle forme dell’annullamento.
Sicché la domanda proposta con il ricorso, ove risultasse fondata, non potrebbe comunque condurre all’accoglimento della chiesta declaratoria di nullità.
4. Con il primo motivo del ricorso, l’ente ricorrente ha censurato l’indicato provvedimento per eccesso di potere, travisamento dei fatti e violazione di legge; violazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990.
La censura è infondata.
Il procedimento amministrativo di rilascio di nulla-osta in sanatoria è stato attivato ad istanza della parte odierna ricorrente: ciò basta ad affermare che non può esservi stata, strutturalmente, alcuna violazione della disciplina legislativa della partecipazione al procedimento amministrativo, attesa la conoscenza dello stesso da parte dell’amministrazione istante, e la conseguente piena possibilità – per essa – di fornire all’autorità decidente la completa rappresentazione della situazione di fatto e di diritto rilevante ai fini della decisione.
E’ appena il caso di richiamare, in argomento, il consolidato orientamento giurisprudenziale che respinge una lettura formalistica delle norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo, per ancorare piuttosto la connessa patologia provvedimentale soltanto alle violazioni di tali norme realmente suscettibili di incidere sull’attività funzionale [ex plurimis, fra i più recenti arresti, Consiglio di Stato, VI, 3684/2003: “La necessità dell’avviso dell’avvio del procedimento, che non può in linea di principio essere messa in discussione, incontra però dei temperamenti, non costituendo l’omissione dell’avviso vizio del procedimento se:
– l’interessato ha comunque avuto conoscenza del procedimento;
– l’interessato ha di fatto avuto la possibilità di far valere la sua posizione nel procedimento;
– l’apporto dell’interessato che avesse partecipato al procedimento non avrebbe apportato una qualche utilità per il procedimento, nel senso che l’interessato, se avesse partecipato, avrebbe potuto presentare osservazioni e opposizioni che non avrebbero avuto la possibilità ragionevole di avere un’incidenza causale sul provvedimento finale (C. Stato, sez.V, 22 maggio 2001, n.2823).”].
4.1. Non va inoltre sottaciuto, quanto alla peculiarità della fattispecie dedotta, che lo specifico procedimento in esame tende non già al rilascio di un titolo abilitativo ex ante, bensì alla sanatoria ex post di un’attività amministrativa patologica, vale a dire della realizzazione di un’opera pubblica in assenza di autorizzazione paesaggistica (sia pure “per mera dimenticanza”), da parte di un ente che ha tra le proprie attribuzioni istituzionali rilevanti competenze in materia di tutela territoriale [del che la difesa dell’ente ricorrente mostra peraltro di essere ben consapevole, pur se con esiti argomentativi opposti, allorché – pag. 7 del ricorso – afferma che nella fattispecie si sarebbero dovuti vagliare anche “motivi di opportunità istituzionale (si pensi nel caso specifico al fatto che l’odierna ricorrente è anch’essa un ente pubblico)”].
L’indicato rilievo, afferente la peculiarità della fattispecie procedimentale, implica invero che i presupposti ed i requisiti della sanatoria, ove sussistenti, avrebbero dovuto essere rappresentati con particolare rigore in sede di istanza, senza che possa ritenersi fondata su alcuna norma l’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo la quale “La Soprintendenza aveva l’obbligo giuridico di richiedere a questo Ente ricorrente tutti i chiarimenti necessari alla migliore e più completa istruttoria procedimentale, anziché limitarsi, sic et simpliciter, ad affermare genericamente che ‘l’illuminazione può essere realizzata solo se strettamente necessaria’”.
Ora, in disparte il rilievo che l’inciso richiamato non è risultato essenziale ai fini del diniego in esame, giacché la Soprintendenza trapanese ha anche – diffusamente – motivato sui motivi di contrasto fra le opere abusive ed i valori di tutela comunque sussistenti (pure in ipotesi di asserita necessarietà di tali opere), ciò che appare dirimente è che l’attributo della genericità vizia, semmai, l’istanza di sanatoria, giacché, in punto di onere – di dimostrazione della sussistenza dei presupposti della propria pretesa al provvedimento – gravante sulla parte che aspira al rilascio di un provvedimento amministrativo, il soggetto (pubblico o privato) che realizzi opere sine titulo in zona vincolata, e non ne illustri in sede di istanza di sanatoria la pretesa necessarietà (ammesso che questa ne legittimi comunque la pretesa), imputet sibi il rilievo della mancata dimostrazione dell’assunto legittimante il rilascio del provvedimento richiesto.
5. Con il secondo motivo l’ente ricorrente ha dedotto eccesso di potere, violazione di legge e travisamento dei fatti; motivazione illogica e contraddittoria; violazione dell’art. 155 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, titolo II del regolamento approvato col R.D. 3 giugno 1940 n. 1357, del d.a. n. 699 del 20 marzo 1979, del D.A. 21 maggio 1999 n. 6080 di approvazione della carta dei percorsi panoramici allegata alle “linee guida del piano territoriale paesistico regionale”, dell’art. 5 delle “linee guida”.
Questa censura ha ad oggetto non già le modalità formali ed estrinseche attraverso le quali è stato esercitato il potere, ma il contenuto intrinseco della valutazione tecnico-discrezionale posta dall’amministrazione intimata a fondamento della motivazione del provvedimento impugnato, in questi termini formulata dalla Soprintendenza trapanese:
“Nei tratti panoramici, infatti, l’illuminazione stradale può essere realizzata soltanto se strettamente necessaria e, in tale comprovata ipotesi, i pali devono essere diradati e collocati sul lato monte della strada. L’avere adottato, altresì, pali a frusta così ravvicinati da costituire un notevole protagonismo visivo sul panorama vincolato e tipologie di corpi illuminanti (apparecchi non fully shielded o full-cut-off) che producono inquinamento luminoso (in contrasto con la Norma UNI 10819 – Requisiti per la limitazione della dispersione verso l’alto del flusso luminoso) hanno arrecato nocumento all’area protetta sia per la maggiore ingerenza che tale tipologia di palo a frusta ha sul paesaggio tutelato rispetto ai pali a stelo dritto (meno invasivi per le intrinseche caratteristiche formali), sia per gli effetti d’abbagliamento per l’utilizzo di lampade S.A.P. (sodio alta pressione, mitigabili anche con l’utilizzo di lampade a spettro d’emissione ristretto: sodio a bassa pressione), denunciati da n numerosi cittadini con la petizione del 13/11/2002, che riducono il godimento visivo della zona “Golfo del Cofano”, sia per i danni ambientali prodotti da tale inquinamento (cfr. i risultati del Convegno “Ecological Consequences of artificial night lighting”, Los Angeles, 23-24 febbraio 2002 e gli Atti del Convegno “inquinamento luminoso e salvaguardia dell’ambiente notturno”, Venezia, 3 maggio 2002), sia per gli effetti negativi sulla sicurezza della circolazione stradale (cfr. nota n. 1069 dell’11/01/1999 della Prefettura di Trapani)”.
5.1. In primo luogo, va detto che con la censura in esame l’ente ricorrente mira a dimostrare la compatibilità, nel merito, dell’intervento abusivamente realizzato con i valori di tutela paesaggistica, e dunque l’erroneità del giudizio posto a fondamento dell’impugnato provvedimento di diniego della Soprintendenza.
In argomento è appena il caso di rilevare, avuto riguardo alla natura del potere esercitato da tale amministrazione nel provvedimento in esame, che, come recentemente ribadito in giurisprudenza (Consiglio di Stato, VI, 3684/2003, cit.), “Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione deve pur sempre essere circoscritto nell’ambito di vizi di legittimità, non potendo sfociare nella pura e semplice sostituzione della scelta tecnica operata dall’amministrazione – se plausibile, corretta e tecnicamente accettabile – con la scelta tecnica del giudice (C. Stato, VI, 3 maggio 2002, n.2334; C. Stato, VI, 23 aprile 2002, n.2199; C. Stato, VI, 11 dicembre 2001, n.6217)”.
Date le superiori premesse, il riportato giudizio della Soprintendenza è immune da censure nei termini suindicati, che delimitano gli spazi del sindacato giurisdizionale.
Come si può ricavare dal passo richiamato, l’amministrazione ha ponderato, in chiave comparativa (anche mediante il richiamo all’acquisizione di atti e fatti rilevanti ai fini di una completa rappresentazione della situazione dedotta, quali una nota della Prefettura di Trapani ed una petizione di cittadini), una pluralità di interessi pubblici coinvolti dagli impianti abusivi di che trattasi (quello alla tutela del valore paesaggistico dei siti in quanto tale; quello specificamente afferente la fruizione della veduta paesaggistica di tali siti in conseguenza dell’adozione di una specifica tipologia di impianti luminosi; quello alla sicurezza della circolazione stradale).
Il che, già di per sé, e in una con il rilievo della congruità delle argomentazioni logico-scientifiche poste a fondamento della motivazione del provvedimento impugnato (documentate anche con puntuali richiami alle più recenti ed autorevoli conclusioni raggiunte in materia di inquinamento luminoso), dimostra in modo tranciante l’infondatezza della censura in esame.
5.2. Va peraltro ulteriormente rilevato, nello specifico, che la Soprintendenza, facendosi carico della necessarietà degli impianti abusivamente realizzati sotto il profilo dell’interesse alla sicurezza stradale, non si è limitata a rigettare l’istanza di sanatoria, ma ha indicato delle precise alternative strutturali e funzionali, tali da rendere compatibili detti impianti, ove effettivamente necessari sotto il profilo della sicurezza della circolazione stradale, con l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’identità estetico-culturale dei siti interessati.
L’ente ricorrente contesta, in proposito, che l’alternativa prospettata sia effettivamente imposta dall’art. 17 delle Linee guida dei piano territoriale-paesistico regionale, che si riferirebbe alle palificazioni relative ai “servizi a rete”, e non a quelle che non hanno la funzione di “trasportare energia per fornire servizi”.
In argomento non può ritenersi censurabile il provvedimento impugnato, atteso che la citata norma paesistica ha un ambito d’applicazione oggettivo delimitato in funzione delle caratteristiche strutturali, e non funzionali, degli impianti: la tutela del paesaggio, del resto, disciplina le forme del territorio, più che le sue utilizzazioni (e queste ultime, nella misura in cui si risolvano in alterazioni morfologicamente apprezzabili), sicché la distinzione prospettata nel ricorso non appare autorizzata da una corretta lettura della disposizione in esame.
5.3. Analogamente, non può essere censurato il provvedimento impugnato, nella parte in cui, esercitando un potere che sarebbe estraneo a quelli normativamente riconosciuti alla Soprintendenza, “ordina la dismissione” degli impianti non autorizzati.
Intanto va rilevato che il provvedimento in esame non ha un simile contenuto, ma piuttosto quello di invitare i Sindaci dei comuni interessati ad “adottare i provvedimenti di loro competenza diretti a rimuovere le opere gravemente pregiudizievoli dei luoghi protetti”.
Inoltre, il potere di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, come già rilevato, non è espressamente disciplinato dalla legge, proprio perché non è espressamente prevista dalla legge l’esistenza di un simile provvedimento: sicché i riferimenti contenuti nel ricorso, a disposizioni asseritamene delimitanti tale potere (nel senso della asserita non inclusione in esso dell’ordine di dismissione o del divieto di realizzazione delle opere abusivamente realizzate), non paiono pertinenti rispetto alla fattispecie dedotta.
5.4. Ancora, non può ritenersi censurabile il provvedimento in esame nella parte in cui ha richiamato, da un lato, le norme UNI sulla limitazione delle dispersioni verso l’alto del flusso luminoso, e, dall’altro, la nota della Prefettura di Trapani dell’11 gennaio 1999.
5.4.1. Sul primo profilo, va detto che l’affermazione della ritenuta non obbligatorietà di tali norme per le amministrazioni pubbliche non consente comunque di ritenere viziato un provvedimento che, nel valutare la presenza di inquinamento luminoso dell’area protetta per effetto degli impianti in questione, tale da alterare la fruizione visiva del paesaggio, anziché operare apodittiche valutazioni sorregga il proprio giudizio con precisi dati di natura tecnica.
5.4.2. Sotto il secondo profilo va detto che il richiamo, nel provvedimento impugnato, alla citata nota della Prefettura, è ulteriore indice dell’accuratezza nell’acquisizione di fatti e di interessi rilevanti, oltre che nella valutazione degli elementi tecnico-scientifici, con cui l’amministrazione intimata è giunta all’emanazione del provvedimento impugnato.
La nota in questione, diretta al Presidente della Provincia di Trapani, e ai Sindaci della Provincia, invitava i destinatari a vigilare sull’installazione, anche sulle arterie extraurbane, di “fonti di illuminazione non regolari”, verificando in particolare che tali fonti fossero dotate di “copertura superiore, in modo che il fascio luminoso sia orientato esclusivamente verso il basso. Circostanza questa che evita inutili e dannose dispersioni di luce nell’ambiente”.
In premessa, la Prefettura specificava che l’intervento aveva per oggetto l’inquinamento luminoso in relazione alla “sicurezza della circolazione stradale, atteso che, in particolari condizioni atmosferiche, gli abbagliamenti causati da luci pubbliche o private non orientate nella giusta direzione possono essere causa di incidenti anche gravi”.
L’ente ricorrente si duole da un lato che la Soprintendenza trapanese abbia dato, nella propria valutazione, esclusiva rilevanza all’interesse paesaggistico, a fronte della ritenuta prevalenza di quello alla sicurezza della circolazione stradale; contemporaneamente censura lo stesso provvedimento perché, in ottemperanza ad un rilievo prefettizio che la Provincia aveva ricevuto, opera una ponderazione comparativa di entrambi gli interessi, inserendo nella valutazione finale elementi tecnici che consentano di conciliare entrambe le esigenze, non limitando il proprio giudizio al profilo estetico-culturale.
Invero tale censura, oltre che contraddittoria, appare infondata.
5.5. Infine, nella censura in esame vengono prospettate alcune incongruità in fatto (quali la qualificazione dello sviluppo “a mezza costa” del corpo stradale, ed altro).
Ora, tali argomentazioni appaiono generiche e meramente tautologiche, in quanto non corredate da riferimenti critici e documentali tali da porre seriamente in dubbio i presupposti fattuali del provvedimento impugnato.
In ogni caso, la difesa erariale ha depositato in atti una dettagliata nota di controdeduzioni dell’amministrazione intimata su tali profili, successivamente non contestata, e comunque analiticamente esplicativa della congruità delle contestate qualificazioni, alla quale deve farsi rinvio.
6. Il ricorso dev’essere pertanto rigettato perché infondato.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione seconda, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

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Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 12 maggio 2003, con l’intervento dei signori magistrati:

– Filippo Giamportone, Presidente
– Giovanni Tulumello, Referendario, estensore.
– Alessio Liberati, Referendario

Depositata in Segreteria il 14 luglio 2004

Il Funzionario
Maria Rosa Leanza

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